sabato 11 dicembre 2010

La Ruota dell'Anno


L’uomo antico, a differenza di quello moderno (la cui esistenza si svolge ormai tutta all’interno di un orizzonte materialistico e deterministico), si sentiva parte costitutiva dell’universo, visto come un tutt’uno (universo per l’appunto…), una trama dell’essere dove ogni “filo” era collegato agli altri per mezzo di legami sottilissimi eppure indistruttibili. La stessa divinità non era un ente separato dal cosmo ma allo stesso tempo creatrice e parte essenziale dell’universo. In questo cosmo dove anche il più piccolo granello di sabbia era unito misteriosamente a stelle e pianeti (una concezione simile tra l’altro a quelle delle più avanzate teorie scientifiche), l’essere umano si considerava, pur con tutti i suoi limiti, un collaboratore degli Dei nell’impegnativo compito di mantenere l’ordine cosmico, un “Figlio della Terra e del Cielo stellato” come recitano le antiche iscrizioni orfiche.
Ogni momento di passaggio determinato dai moti celesti (il Cielo) e dal volgere delle stagioni (la Terra) veniva a configurarsi come un momento sacro, caratterizzato da energie particolari, vibrazioni specifiche che risuonavano secondo regole precise nel mondo minerale, vegetale ed animale, nonché ovviamente in quel microcosmo che è il complesso umano di corpo-anima-spirito.
Così in questi momenti particolari, queste date dell’anno, venivano celebrate con riti e feste che avevano lo scopo di permettere agli esseri umani di entrare in contatto con le forze cosmiche, più percepibili allora che in qualsiasi altro momento. E allo stesso tempo gli umani avevano la possibilità di aiutare con le proprie energie queste forze affinché il mondo potesse continuare ad esistere in modo conforme alle eterne leggi della Natura.
I momenti critici dell’anno venivano dunque ad assumere, secondo queste antiche concezioni, la natura di “porte”. Porte che periodicamente si aprivano su altre dimensioni, consentendo a tutti un sia pur fugace contatto con le energie divine, contatto che era altrimenti privilegio di pochi iniziati ed eroi mitici. Quelli che noi oggi denominiamo calendari, per le antiche civiltà erano in realtà complessi e raffinati codici rituali, elaborati al fine di costituire un collegamento cosmico con la Terra e il Cielo.
Pur diversi l’uno dall’altro per motivi culturali e ambientali, condividevano in varia misura una concezione comune: in essi il tempo non appariva come una sequenza lineare di fatti unici e casuali ma come un ciclo eterno di nascita-vita-morte-rinascita. Il cerchio era il simbolo che caratterizzava questa concezione ciclica (dal greco kiklos = cerchio) dello scorrere del tempo. E la parola latina annus, anno, significa appunto circolo. La figura di un serpente circolare che si morde la coda, l’ourobos egizio, è forse la rappresentazione iconografica più diffusa della concezione ciclica del tempo.
Per gli antichi ogni cosa era inserita all’interno di un ciclo, ognuna con il proprio ritmo e con la propria energia particolare: dal ciclo lunare mensile a quello stagionale-annuale fino ai cicli maggiori del Grande Anno (i 25.920 anni circa determinati dalla precessione degli equinozi, cioè dal lento movimento della Terra intorno al proprio asse, il quale fa sì che il punto vernale – l’equinozio di primavera – si sposti molto lentamente a ritroso lungo il cerchio zodiacale, sorgendo ogni 2.000 anni circa n un segno zodiacale diverso) e delle Grandi Ere.
Secondo quest’ultima dottrina, comune a moltissime civiltà antiche, l’umanità era passata da una mitica epoca di beatitudine e di armonia con il  cosmo a ere sempre più degradate, fino al caos e alla dissoluzione. Questa era la dottrina greca delle quattro ere (dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e del Ferro), rispecchiante quella induista dei quattro Yuga (Krita, Treta, Dvapara e Kali). Anche i nativi americani narravano di un bisonte cosmico che si reggeva sulle sue quattro zampe: ad ogni era ne perdeva una. Per inciso oggi ci troviamo nell’Era del Ferro o Kali Yuga (Età Oscura) e il bisonte a fatica si regge su una sola zampa…
Ma in tutte queste visioni la fine di ogni ciclo non conduce ad una fine assoluta bensì ad un nuovo inizio, dove gli esseri ricominciano ad animare la trama di un cosmo rigenerato, diverso dal precedente eppure uguale ad esso. Quella che a noi può sembrare una ripetizione ossessiva di gesti, azioni e cicli, per gli antichi non era altro che la conferma rassicurante delle eterne leggi del cosmo, leggi che fondono in un’armonia perfetta sia l’ordine che il caos, la luce e la tenebra, la vita e la morte. Gli antichi forse sarebbero rimasti sgomenti di fronte alla nostra moderna concezione lineare di un tempo che sorge dal nulla e in una linea ascendente di “progresso” termina ugualmente nel nulla, lasciando il posto a nebulosi regni ultraterreni, paradisi, inferni o nirvana che siano. Per gli antichi ogni fine era un inizio e ogni inizio una fine, dove ogni cosa esistente era coinvolta, non solo a livello spirituale ma anche a livello materiale.
La dottrina ciclica del tempo può essere benissimo rappresentata da una ruota, la Ruota dell’Anno che percorre il suo cammino lungo sentieri sempre diversi eppure sempre uguali.
Dalle concezioni pre-cristiane dell’Antica Europa emerge così l’immagine di una ruota a otto raggi, ciascuno dei quali corrisponde ad un momento critico di passaggio, ad una festa sacra.
La Ruota dell’Anno è un calendario sacro che unisce e fonde in sé due separati eppure connessi cicli: il primo ciclo è quello del mistico viaggio del Sole attraverso il cielo, che si snoda attraverso i due solstizi e i due equinozi, narrandoci la nascita, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia dell’astro.
Il secondo ciclo è quello stagionale, che ci mostra le vicissitudini delle divinità agrarie e pastorali attraverso il tema di semina-fioritura-maturazione-raccolto.
Queste ultime feste sono chiamate col loro nome celtico perché i Celti ci hanno lasciato un ricco patrimonio mitico e folklorico su di esse anche se le medesime date erano celebrate con diversi nomi presso altre civiltà europee e mediterranee.
I due cicli sono in realtà tra loro collegati e interdipendenti, poiché le stagioni dipendono dai moti del Sole e il Sole si manifesta attraverso i mutamenti stagionali. Essi formano un insieme armonioso e coerente, suddividendo l’intero anno in otto “spicchi” di uguale durata.
Occorre ricordare però che l’ottuplice ruota non ha solo un significato esteriore, materiale, “naturalistico”, poiché i momenti critici di passaggio nello scorrere del tempo hanno una risonanza anche a livello dell’interiorità umana. Risonanza psicologica perché ogni fase del ciclo influisce indubbiamente sul nostro umore e sul nostro comportamento (anche se purtroppo al giorno d’oggi raramente ce ne rendiamo conto). E anche risonanza a livello spirituale, dal momento che le feste sacre ci offrono la possibilità di riconnetterci alle energie divine del cosmo e della Natura, rispettando la funzione principale di tutti i calendari così come erano stati ideati nell’antichità.
Per tutti questi motivi la Ruota dell’Anno ha conservato tutta la sua validità nel corso dei secoli, e ancora oggi è il calendario sacro di tutti quei movimenti spirituali che si rifanno alle religioni della Natura: Neo-Druidismo, Neo-Paganesimo, Wicca, Spiritualità della Dea e altri ancora. Inoltre il suo schema è sottinteso ancora a moltissime celebrazioni folkloriche o cristiane, anche se di ciò ovviamente non sempre siamo consapevoli

Da Feste Pagane, Roberto Fattore, Macro Edizioni

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