venerdì 24 dicembre 2010

Natale – Yule – La tradizione della Mari Llwyd

...Ma quando Pwyll tentò di guardarla in viso, non gli fu possibile, dovette abbassare gli occhi e allora capì che Essa non era una donna bensì una Dea, e che quel posto viveva della Eterna Gloria di Lei.

(I Mabinogion, Evangeline Walton)

Due tradizioni emergono tra le festività del Natale Celtico, e paiono provenire da una radice indigena: la Processione di Mari Lwyd e la Caccia allo Scricciolo (sebbene quest’ultimo costume possa essere di provenienza scandinava). Sono spesso separate nella pratica, ma appaiono collegate in termini simbolici.
La Mari Lwyd (“Maria la Grigia”, ma probabilmente anche “Giumenta Grigia”) viene ancora portata di casa in casa a un certo punto delle festività natalizie in vari distretti del Galles meridionale e centrale. Si tratta di una figura mostruosa composta da un teschio di cavallo montato su un palo, portato da una persona solitamente celata sotto una coperta a dare l’impressione di un essere umano gigantesco con una testa di animale. La mascella inferiore è disposta in modo tale da poterla aprire e chiudere di scatto, e talvolta le orbite sono dotate di occhi di vetro per dare un effetto ancor più terribile. Nastri escono dalle orecchie, si notano campanelle attaccate intorno al collo e, in alcune comunità, i componenti la sua scorta sono anch’essi abbigliati in costumi grotteschi. Nelle processioni del passato si portava anche la Aderyn Pica Llwyd (“Gazza Grigia”), un uccello artificiale appeso a un bastone con mele e arance. A ogni casa il leader della processione bussa  sulla porta col proprio bastone e il gruppo intona una filastrocca in musica chiedendo il permesso di entrare per sé e per la Mari. Gli abitanti della casa replicano con un’altra filastrocca che esprime sospetto e chiede rassicurazioni sul fatto che Mari non causerà violenza e disordine se lasciata entrare; questo porta a un lungo dialogo musicale che culmina nell’apertura della porta per far entrare la Mari. Ella si dimentica ovviamente delle sue promesse e gira per la stanza cerando di agguantare gli abitanti della casa (specialmente le donne), che fingono di esserne terrorizzate. Spesso un bambino piccolo si para di fronte alla Mari e le dà una torta o una caramella, dopodiché il mostro viene improvvisamente soggiogato.
Considerato nei termini più generici,  questo rituale si colloca in un ampio continuum di tradizioni dette del “cavallino” che si ritrovano in tutta l’Europa rurale. Molte località, dall’Inghilterra alla Polonia, hanno una festa (solitamente durante la metà oscura dell’anno) in cui un gruppo di figuranti va di casa in casa con un cavallo artificiale (o qualche altro tipo di mascheramento da cavallo) che finge di attaccare le donne, in particolare quelle non sposate. Talvolta, come accade in alcune aree della Germania meridionale, tale ruolo è demandato ai “diavoli” o ad altre maschere fantastiche. Il significato di un rituale del genere pare risalire alla comune eredità di simbolismo e credenze indoeuropee. Gli spiriti della Terra che governano la fertilità (dai Centauri della Grecia ai divini Ashvin dell’India) erano immaginati con tratti da cavallo, e ogni volta che se ne invocava il potere si utilizzava un immaginario equino. Nel cuore più buio dell’inverno, quando il potere generativo della vita pare essere nel punto più basso, era evidentemente ritenuto appropriato invocare i guardiani primordiali della fertilità della Terra e associarli con i simboli di generazione della Tribù: le donne. I Celti, la cui mitologia trabocca di figure come Eochu, Echbél e March, condividono certamente tale schema concettuale e devono aver preso i propri rituali del cavallino dalla memoria comune della tradizione. Ma ci sono alcuni aspetti della cerimonia di Mari Lwyd che suggeriscono una struttura di riferimento ancor più legata alla specificità celtica.
Per prima cosa, se in altri paesi il cavallino è di sesso indeterminato oppure è esplicitamente maschio (come si addice a una figura che “insemina” simbolicamente le donne), la Mari è sempre dichiaratamente femmina. Ella è quindi la Grande Giumenta, Epona, la Dea-Terra stessa, non soltanto uno degli spiriti della Terra del suo seguito. Sia lo scandalizzato resoconto di Giraldo Cambrensis sull’investitura di un re irlandese che la maestosa forma del cavallo bianco di Uffington, scavata in una collina di gesso nell’antico territorio dei Dobunni, illustrano l’importanza della Grande Giumenta come immagine della Dea-Terra che assicura la Sovranità tramite la propria unione con il sacro re della tribù. Ma anche quando presenta una serie di attributi animali, la Dea-Terra è solitamente concepita in forma antropomorfica nei resoconti della sua interazione con la tribù. Cosa determina quindi la sua apparizione in forma animale?
Il suggerimento più prezioso viene dal Primo Ramo dei Mabinogi: Rhiannon (“Grande Regina”) appare per la prima volta al marito, il nobile Pwyll, cavalcando nello stile tipico di Epona. Ella stessa viene degradata ad un ruolo equino quando il figlio appena nato, Pryderi, viene rapito dai poteri dell’Altromondo, ed è quindi accusata di averlo ucciso. La sua condanna consiste nello stare davanti all’entrata del suo castello e di offrire agli ospiti di portarli in groppa all’interno di esso, dopo aver raccontato in che modo ha ucciso il proprio figlio. Nel Terzo Ramo, quando sia lei che Pryderi (ora adulto) sono prigionieri della fortezza dell’Altromondo di Llwyd ap Cil Coed, sono costretti a indossare gioghi da cavallo intorno al collo. È implicito in entrambi gli episodi che la Dea e suo figlio (il neonato Pridery viene riportato indietro da Teyrnon in compagnia di un puledro magicamente rapito) vengono realmente trasformati in cavalli; e questo è un fatto confermato dalle varianti della tradizione orale, specialmente in Bretagna. La ragione precisa di questa involuzione allo stato animale non viene mai chiarita (eccetto finora nella struttura generale della narrazione, secondo cui riflette la vendetta di Gwawl su Rhiannon e sulla sua famiglia, usando Lwyd ap Cil Coed come agente), ma se, come suggerito da Caitlìn Matthews, Rhiannon e Pryderi rappresentano qui Modron e Mabon (Matrona e Maponos), la Grande Madre e il grande Figlio, la trasformazione potrebbe essere spiegata con la sua funzione nel più ampio contesto mitologico e rituale. La nascita del Figlio della Luce (che diverrà Maponos, il giovane e vigoroso dominatore della metà samos dell’anno) avviene quando l’aspetto materno e umanamente attraente della Dea Terra è addormentato, sostituito dalla Scrofa, la Megera, la Dea nel suo aspetto ostile (forse rappresentata nel Primo Ramo dalle serve che architettano l’umiliazione di Rhiannon). È l’ascesa della Megera a produrre in effetti l’eclissi della Madre, espressa dalla perdita delle facoltà umane quando il personaggio assume caratteri animali (natura animale = giamos; natura umana = samos). Il volto umano e orientato verso la Tribù della Dea tornerà soltanto quando l’anno si avvicinerà alla sua metà luminosa. Llwyd (la “Grigia”) è la figura che possiede la chiave dei cambiamenti.
Considerando nuovamente il nostro rituale del Solstizio alla luce di quanto sopra, ci si rende conto che, nella stagione invernale, Mari Lwyd è una madre che è stata separata dal figlio. Questo porta immediatamente alla mente molte figure di altre mitologie, Dee-Madri che vagano in lacrime su una terra deserta in cerca di un amore perduto (figlio o consorte) collegato al potere della fertilità: Demetra e Persefone, Iside e Osiride, Nanna e Balder, Leminkäinen e sua madre… Nel caso di Demetra e Iside, le dee vaganti acquisiscono un seguito di compagni che assumono essi stessi significato individuale nei miti. Forse che il racconto di Rhiannon, o dell’archetipo da lei rappresentato nel sapere celtico, contenesse un tempo proprio questo elemento, sopravvissuto fino ad oggi nel rituale che ha ispirato? È il proprio il puledro che la Giumenta Grigia o la Grande Giumenta cerca una casa dopo l’altra, e gli strani personaggi che l’accompagnano, suonando campanelle e violini e sventolando nastri, sono gli aiutanti dell’Altromondo che la sostengono nel suo esilio; le loro identità ci sono sconosciute in questo contesto specifico, ma senza dubbio sono molto vicine a quei “compagni magici”  così comuni nella tradizione popolare. Ovviamente, nonostante la possibilità di tali associazioni, la cerimonia funge ancora chiaramente da rituale “cavallino” mirato a ripristinare la fertilità o riattivare i poteri della generazione: anche in esilio, incapace di manifestarsi apertamente nella natura, la Dea-Terra può ancora trasmettere la sua “energia equina” (eoghus) a coloro che ne hanno bisogno, e lo fa con la tipica turbolenza di un “cavallino”.
Che la cerimonia di Mari Lwyd e il racconto di Rhiannon e Pryderi siano effettivamente collegati a livello storico o no, i collegamenti mitologici e poetici sono sempre più evidenti, e non possono essere ignorati.
Da Il tempo dei celti. Miti e riti: una guida alla spiritualità celtica di Alexei Kondratiev

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