venerdì 7 gennaio 2011

La dea delle foreste. Il nucleo totemico della Befana



Nelle tradizioni popolari dell’Europa legate alla figura della Befana, come pure a figure simili o comparabili, si possono individuare chiaramente dei tratti zoomorfi, che si devono far risalire alle configurazioni più antiche dal punto di vista della stratificazione secolare intorno al personaggio.
Spesso nelle pitture vascolari dell’area mediterranea la figura della dea si fonde con le raffigurazioni di uccelli quali l’airone rosso o la cicogna, animali carichi di energia fecondante e portatori di bambini. Le cicogne erano tenute in grande considerazione dai Tessali, tanto che chiunque osasse uccidere una cicogna veniva condannato all’esilio. Le tribù slave e germaniche attribuivano al picchio e alla cicogna il trasporto della fiamma celeste. La cicogna, che di solito appariva all’avvicinarsi della tempesta e della bufera, veniva ritenuta un simbolo di questi fenomeni naturali. Il colore rossiccio delle sue zampe dava il pretesto per metterla in relazione con le forze del fuoco e della luce del sole. In Germania si credeva che la casa su cui la cicogna nidificava fosse immune dal fulmine. Nessuno osava uccidere una cicogna, e nemmeno distruggerne il nido. Il cigno e la cicogna, oltre ad accompagnare i defunti nell’aldilà, sono portatori delle anime dei neonati mandati da Holda per iniziare la sua vita terrena. La cicogna in autunno vola nel suo Engelland, il regno celeste, smette il suo abito pennuto ed assume aspetto umano. In primavera ritorna trasformata di nuovo in uccello, e nidifica sul tetto della casa accanto alle persone amiche. In Russia essa era accolta come un caro ospite e le si offrivano semi di lino e di canapa.
Questi esempi ci suggeriscono tre considerazioni: la prima è che l’aspetto esteriore dell’animale ha influito sull’immaginazione umana, favorendo l’assimilazione di questo volatile con il fuoco e il fulmine.  Un secondo motivo, non meno importante, è rappresentato dal legame della cicogna con la dea delle foreste, Holda, protettrice dei defunti e dei neonati, portatrice di doni e benefattrice, una figura analoga alla Befana e ben nota nel folklore della Germania settentrionale. Questo fatto presuppone un rapporto di identificazione tra la cicogna e la dea germanica, da ricondurre all’idea arcaica di un’assimilazione con gli avi defunti, rafforzata dal particolare comportamento delle cicogne, che sono solite far ritorno ogni anno al loro nido sul tetto della medesima casa.
Il mito germanico allude alla compresenza nello stesso essere di una doppia natura: ora umana, ora animale; inoltre esso fornisce una spiegazione per comprendere il carattere sacro della cicogna. L’azione del volo e l’aspetto aviforme fanno parte delle rappresentazioni teriomorfe degli spiriti, i quali giungono alle loro dimore passando tra i tetti e i camini. La globalità delle fantasie sulla cicogna è quindi da ascrivere a questo processo di comparazione. In una fiaba zigana la cicogna ricompensa con un dono fatato il pescatore e sua figlia che la ospitano e le danno del cibo. In questo caso la cicogna si comporta come un’antenata mitica donatrice. Ritroviamo i tratti ornitomorfi nelle figure del periodo natalizio le cui caratteristiche e funzioni corrispondono a quelle della Befana. La Perchta austriaca, ad esempio, appare talvolta munita di becco e zampe di gallina, la Brezaia rumena, maschera natalizia femminile, è impersonata da un uomo che indossa un lungo mantello ed è cosparso di cenci multicolori. La testa è coperta da una maschera zoomorfa: di capro, lupo, gallo, cicogna o pavone. Il becco o la mascella dell’animale viene fatto muovere dall’uomo al ritmo di un violino. A questa maschera rumena corrisponde in Ucraina la Bereza, condotta attraverso i villaggi dai koledari (giovani che visitano le case alla vigilia di Natale), e a Bürgenland la Lutschere.
Nelle tradizioni di aree particolarmente conservative la Befana stessa si presenta sotto il sembiante di volatile, come ad esempio in Sicilia, dove la sera del 24 dicembre in alcune città e villaggi esce la Vecchia di Natali, un fantoccio accompagnato da monelli che suonano corni di bue, picchiano padelle e casseruole, fischiano e fanno un chiasso infernale, mentre gridano La Vecchia di Natali. Questa figura condotta dai ragazzi, chiamata anche Strina o Befana, si trasforma a volte in animale per lasciare regali ai bambini. A Cefalù la Strina si cambia in formica, mentre a Corleone essa scende dalle montagne che circondano il paese, e sotto forma di uccello o di altri animali entra nelle case a riempire le calze dei bambini. Questo essere misterioso è invisibile, e non vuole che i bambini la vedano, per questo si avvolge in un lenzuolo ed incede al suono di una campana di vacche.
È interessante, al fine di rilevare lo strato zoomorfo più arcaico caratterizzante la figura che chiameremo per riassumere “La Vecchia di Natale”, comparare le usanze e i miti siciliani con l’immagine di una maschera della Germania meridionale, nella quale il personaggio omologo appare rivestita di una pelle di mucca. La Wilde Bertha, detta anche Eisenbertha, ha un viso terribile, capelli arruffati ed un lungo naso. Regge in mano una scopa ed ha le spalle coperte da una pelle di mucca. In questo caso Bertha reca in mano la scopa come suo emblema, e non se ne serve ancora per volare. Dunque la figura rappresenta la fase più antica del personaggio, quella di signora degli animali. Sulle spalle essa indossa una pelle di mucca, evidentemente una spoglia primitiva, che troverà sviluppo nel sacco ricolmo di doni, ma anche attributo animale, e quindi una prova importante dell’originaria natura ferina di Bertha.
Analogamente la Juno Caprotina, l’antica dea di Lanuvio, ha le spalle ricoperte da una pelle di capra, animale col quale la dea è spesso identificata; mentre la Juno Sospita da Fidenae ha la testa sormontata da un copricapo boomorfo, pur mantenendo sembianze femminili, straordinariamente simili alle dee del lontano oriente, le sorridenti dee di Bali, o le più note dell’India vedica. Particolarmente interessanti a questo proposito le figure di antefisse riportate alla luce nell’area di Antemnae e Fidenae.
Tutte queste divinità rispecchiano la primordiale natura zoomorfa della dea, e la sua capacità di assumere aspetto animale, o di conservarne alcuni tratti, anche quando essa si presenta sotto la forma umana. In quanto signora della foresta, Bertha poteva ben rivestire la forma dell’animale sacro nel quale si immedesimavano le dee mediterranee, come pure le divinità germaniche e slave. In Russia e in Germania sono note leggende sulle streghe dotate di coda di mucca. Attributi boomorfi posseggono anche le Trotte-vieilles, fate che appaiono in Svizzera nel periodo di Capodanno con aspetto di donna, ma munite di corna di mucca, sulle quali esse sollevano i bambini cattivi, per poi posarli nel rigagnolo davanti alla porta. Sotto le più svariate denominazioni ritroviamo quindi un’omogeneità sostanziale che caratterizza la figura della “Vecchia di Natale” nella sua multiforme apparenza. Non a caso i tratti boomorfi sono una caratteristica molto diffusa nelle rappresentazioni mitologiche di tutta l’area indo-mediterranea, ricorrendo in abbondanza nei miti, nelle leggende ed anche nelle opere letterarie di un’ampia area geografica, che abbraccia tutta l’Europa, dalla Spagna agli Urali, e soprattutto l’Asia Minore, dove il mito trova la sua più ampia diffusione a Creta, con la civiltà minoica, fino agli altipiani dell’India e della Persia.
La presenza di figure boomorfe nel ciclo delle feste invernali è attestata, oltre che dalle numerose testimonianze rilevate presso vari popoli, dalla caratteristica usanza siciliana di cuocere il giorno dell’Epifania dei buoi di pasta per i bambini. L’uso è noto anche nelle campagne polacche, lusaziane e russe, dove durante le feste natalizie si distribuiscono ai koledari, che visitano le case, dei pani a forma di mucche e montoni. È proprio questa antica usanza ad aver determinato il nome di korovaj dato in Russia al pane natalizio e nuziale, dal russo: Korova; antico slavo Krava, “mucca”. In alcuni luoghi questi pani prendono il nome di korovki, “vaccarelle”, oppure kozuli “, caprette. L’analogia con le usanze dell’Italia meridionale è ancora più evidente se osserviamo che nel Salento si chiama vaccaredda una pagnotta di pane per gli amici, ed in Calabria vaccarella una schiacciata di pane per i bambini. Si tratta evidentemente di rappresentazioni teriomorfe degli avi. Tuttavia, dato che questi dolci vengono preparati il giorno della festa dedicata alla Befana, non sarebbe forse azzardato supporre un’identificazione tra la figura della Befana e i pani di forma boomorfa. Questa assimilazione si può configurare come reminiscenza di un arcaico sembiante zoomoorfo della Befana stessa, del suo nesso con la figura della mitica mucca, una volta terrestre, e in seguito divenuta astrale e cosmica, assimilata alla luna, alle streghe e alle grandi divinità femminili del mondo mediterraneo.
Da: L’incanto e l’arcano: per una antropologia della Befana, di Claudia Manciocco e Luigi Manciocco

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