giovedì 20 gennaio 2011

L'archetipo della Donna Selvaggia


I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche. Sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell’arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi.
Fiabe, miti e storie offrono un sapere e una comprensione che aguzzano la nostra vista in modo tale da permetterci di distinguere e di riprendere il sentiero tracciato dalla natura selvaggia. Gli insegnamenti che vi troviamo ci rassicurano: il sentiero non si è perduto, ancora conduce le donne in profondità, e ancor più in profondità, nella conoscenza di sé. Le tracce che noi tutte seguiamo sono quelle dell’archetipo della Donna Selvaggia, l’Io istintuale innato.
La donna sana assomiglia molto al lupo: robusta, piena di energia, di grande forza vitale, capace di dare la vita, pronta a difendere il territorio, inventiva, leale, errante. Eppure la separazione dalla natura selvaggia fa sì che la personalità della donna diventi povera, sottile, pallida, spettrale. Non siamo nate per essere cuccioli spelacchiati e incapaci di balzare in piedi, incapaci di cacciare, di generare, di creare una vita. Quando la vita delle donne è in stasi, è nel tedio, allora è tempo per la Donna Selvaggia di emergere; è tempo per la funzione creativa della psiche di inondare il delta.
Come influisce sulle donne la Donna Selvaggia? Con la Donna Selvaggia come alleata, guida, modello, maestra, noi vediamo non con due occhi ma con gli occhi dell’intuito, che è occhiuto. Quando facciamo valere l’intuito, siamo come una notte stellata: fissiamo il mondo con migliaia di occhi.
La Donna Selvaggia porta tutto ciò di cui una donna ha bisogno per essere e sapere. Porta il medicamento per tutto. Porta storie e sogni e parole e canzoni e segni e simboli. È nel contempo veicolo e destinazione.
Le storie sono un balsamo. La Estés ne rimase catturata per sempre quando sentì raccontare una storia per la prima volta. Hanno un tale potere: non ci chiedono di fare, essere, agire – basta ascoltare. I rimedi per reintegrare o reclamare una pulsione psichica perduta si trovano nelle storie. Le storie generano l’eccitamento, la tristezza, le domande, gli struggimenti e le conoscenze che spontaneamente riportano in superficie l’archetipo, in questo caso la Donna Selvaggia.
L
e storie sono disseminate di istruzioni che ci guidano nelle complessità della vita. Le storie ci mettono in grado di comprendere il bisogno dell’archetipo e i modi per far risalire l’archetipo sommerso.
Talvolta vari strati culturali sovrapposti disarticolano le storie. Per esempio, nel caso dei fratelli Grimm (per citare due dei collezionisti di fiabe degli ultimi secoli), forte è il sospetto che gli informatori (i cantastorie) del tempo talvolta “depurassero” le loro storie per riguardo ai religiosi fratelli. Sospettiamo anche che i famosi fratelli continuarono la tradizione di sovrapporre simboli cristiani agli antichi simboli pagani, sicché la vecchia guaritrice di un racconto diventava una strega malvagia, uno spirito diventava un angelo, un velo per l’iniziazione diventava un fazzoletto, o una bambina di nome Bella (nome spesso dato alle bambine nate durante la festa del Solstizio) veniva ribattezzata Schmertzenreich, Addolorata. Venivamo omessi gli elementi sessuali. Creature e animali soccorrevoli erano trasformati in demoni e uomini neri.
Ecco come molti racconti ricchi d’insegnamenti sul sesso, l’amore, il denaro, il matrimonio, il parto, la morte e la trasformazione sono andati perduti. Ecco come anche le fiabe e i miti che spiegano gli antichi misteri delle donne sono stati pure ricoperti. Per la maggior parte le antiche raccolte di fiabe e miti oggi esistenti sono stare purgate dello scatologico, del sessuale, del perverso, del precristiano, del femminile, delle dee, dell’iniziazione, delle medicine per vari disturbi psicologici, e delle istruzioni per le estasi spirituali.
Ma non tutto è perduto per sempre. In ogni frammento di una storia si trova la forma dell’intera storia.  La Estés ha frugato in quelle che scherzosamente chiama la tradizione forense e la paleo-mitologia delle favole. Compara molte versioni dello stesso racconto, e raccoglie tutte le versioni vecchie e nuove che riesce a trovare. Poi compara le forme, ricostruendo da antichi andamenti archetipi appresi in anni di training in psicologia archetipa, che conserva e studia tutti i motivi e gli intrecci delle favole, delle leggende e dei miti per cogliere la vita istintuale degli esseri umani. Trova assistenza negli architravi che giacciono nei mondi immaginari e nell’inconscio collettivo di tutti gli esseri umani e che possiamo estrarre dai sogni e da speciali stati di consapevolezza. Spesso una bella lucentezza si ottiene comparando le versioni della storia con le testimonianze archeologiche delle antiche culture femminili, per esempio le ceramiche rituali, le maschere e le statuette.
Le storie sono e saranno sempre molto più antiche dell’arte e della scienza della psicologia. Uno dei modi più antichi di raccontare, che intriga fortemente la Estés, è l’appassionato stato di trance in cui chi narra “sente” il pubblico, che si tratti di una o più persone, ed entra allora in uno stato del mondo tra i mondi, dove una storia è “attratta” verso la narratrice in trance e viene detta attraverso di lei. Questa è la cantastorie che asseconda il farsi dell’anima.
La narratrice in trance richiama El duende, il vento che soffia anima nei volti degli ascoltatori. La narratrice in trance impara a essere, psichicamente, doppiamente articolata, mediante la pratica meditativa della storia, cioè allenandosi a disfare taluni cancelli psichici e aperture dell’io per lasciar parlare la voce più antica delle pietre.  Fatto ciò, la storia può prendere qualunque direzione, può essere capovolta, riempita di porridge e destinata al banchetto di un povero, riempita d’oro, o cacciare l’ascoltatore nel mondo futuro. La narratrice non sa mai che cosa ne verrà fuori, e questa è almeno la metà della magia essudata dalla storia.
Per trovare la Donna Selvaggia le donne devono tornare alla loro vita istintiva, alla loro più profonda sapienza. Cantiamo dunque la sua carne che torna a coprire le nostre ossa.
Lasciamo cadere i falsi manti che ci hanno dato. Indossiamo il manto autentico dell’istinto possente e della conoscenza. Infiltriamoci nei territori psichici che un tempo ci appartenevano. Sciogliamo le bende, prepariamo il balsamo. Torniamo a essere ora, le donne selvagge che ululano, ridono, cantano Colei che ci ama tanto.
Per noi la questione è semplice. Senza di noi la Donna Selvaggia muore. Senza la Donna Selvaggia, siamo noi a morire. Para Vida, tutte dobbiamo vivere

Da Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés

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