sabato 5 febbraio 2011

I compiti di Vassilissa - Prima parte


Le storie di Vassilissa e di Persefone hanno molti punti in comune. Persefone è una dea-fanciulla che rappresenta la giovane che ignora chi sia ed è ancora inconsapevole dei propri desideri o delle proprie forze ma che diviene, in seguito alla sua esperienza e maturazione, Regina degli Inferi (e quindi profondamente consapevole delle proprie motivazioni inconsce).
La fiaba di Vassilissa è una storia di iniziazione femminile che per giungere a compimento necessita l’esecuzione di determinati compiti.

Il primo compito: consentire all’Ottima Madre di morire
Nel racconto, il processo di iniziazione comincia quando la cara e buona madre muore. Nella nostra esistenza di figlie, c’è sempre un momento in cui la buona madre della psiche, quella che ci ha servito nel modo giusto in periodi precedenti, si trasforma in una madre troppo buona, che in virtù dei valori protettivi comincia ad impedirci di rispondere a nuove sfide, e quindi di raggiungere un più profondo sviluppo.
C’è una madre selvaggia che ci aspetta, per insegnarci. Ma nel contempo il secondo compito è di tenerci strette alla bambola mentre ne apprendiamo gli usi.

Il secondo compito: abbandonare l’Ombra Primitiva
La matrigna e le sorellastre rappresentano gli elementi non sviluppati ma provocatoriamente meschini della psiche. Sono elementi oscuri, aspetti significativi di sé considerati indesiderabili dall’io, o non utili, e pertanto relegati nell’oscurità. Il materiale oscuro può essere molto positivo, perché spesso anche i doni di una donna vengono sospinti nell’oscurità. Ma anche il materiale oscuro e negativo può essere utile, perché quando erutta e finalmente vediamo quegli aspetti e le relative fonti, diventiamo più forti e più sagge.
In questa fase dell’iniziazione, la donna è molestata dalle grette richieste della psiche che la esorta a compiacere qualunque desiderio altrui. La compiacenza produce una comprensione traumatizzante che deve essere registrata da qualsiasi donna. Ovvero, essere se stesse significa essere esiliate da molti altri, e compiacere le richieste altrui fa sì che ci si senta esiliate da se stesse. È una tensione tormentosa e difficile da sopportare, ma la scelta è chiara.
Vassilissa esegue ogni giorno i lavori domestici senza lamentarsi. Sottomettersi senza lamentarsi è apparentemente eroico, ma in realtà provoca una pressione sempre maggiore e un conflitto sempre più grave tra due nature antitetiche, una troppo buona e l’altra troppo esigente. Come il conflitto tra l’eccessivo adattamento e l’essere se stessi, questa pressione va verso uno sbocco positivo. La donna divisa tra le due si trova sulla buona strada, ma deve andare ancora avanti.
Nella storia le donne spremono tanto la forza psichica che per le loro macchinazioni il fuoco si estingue. A questo punto la donna comincia a perdere i suoi supporti psichici. Si sente fredda, sola, e il suo unico desiderio è tornare alla luce. È esattamente la scossa necessaria per continuare nella presa di possesso del suo potere. Si potrebbe dire che Vassilissa va dalla Grande Strega Selvaggia perché ha bisogno di un bello spavento. Dobbiamo abbandonare il coro di detrattori e tuffarci nei boschi. Non è possibile stare ed andare.
Vassilissa, come noi, ha bisogno di una luce che la guidi, che le indichi quanto va bene e che cosa no. Non può svilupparsi restando tra chi fa di lei il cavastivali di tutti. Le donne che cercano di rendere invisibili i loro sentimenti più profondi si smorzano. La luce si spegne. È una forma dolorosa di animazione sospesa.
Per converso, e forse in modo un po’ perverso, il fuoco che si estingue aiuta Vassilissa a sfuggire alla sottomissione. La fa morire a un vecchio modo di vita ed entra rabbrividendo in una vita nuova, basata su un più antico e saggio genere di conoscenza interiore.

Il terzo compito: la Navigazione nell’Oscurità
La bambola di Vassilissa viene dalle provviste dell’Antica Madre Selvaggia. Le bambole sono uno dei tesori simbolici della natura istintuale. Nel caso di Vassilissa, la bambola rappresenta la vidacita, la piccola forza istintuale vitale che è fiera e insieme tollerante. Qualunque sia la confusione in cui ci troviamo, vive una vita nascosta dentro di noi.
Per secoli l’umanità ha sentito che dalle bambole emanano santità e manà – una prescienza terrificante e irresistibile che agisce sulle persone cambiandole spiritualmente. Mana è una parola melanesiana che Jung trasse dagli studi antropologici condotti all’inizio del ventesimo secolo. È la qualità magica che circonda ed emana da certe persone, da talismani ed elementi naturali come il mare e la montagna, gli alberi, le piante, le rocce, i luoghi e gli eventi. Per esempio, la radice di mandragola è apprezzata per la sua somiglianza al corpo umano, con braccia e gambe e un nodo per testa, e la si ritiene ricca di potere spirituale. Si ritiene che alle bambole venga infusa la vita dai loro creatori. Sono usate nei riti, nei rituali, nel wodoo, negli incantesimi d’amore. Sono talismani che ricordano all’altro il proprio potere.
La bambola è il simbolico homunculus. Gli homuncoli sono delle creaturine, come gli elfi e i folletti. È il simbolo di quanto sta sepolto di numinoso negli esseri umani. È un piccolo e risplendente facsimile dell’io originale. Superficialmente è soltanto una bambola, ma inversamente è un pezzettino d’anima che porta tutta la conoscenza del più grande anima-io. Nella bambola c’è la voce, in piccolo, della vecchia La Que Sabé, Colei che sa.
È legata ai simboli del folletto, dello gnomo, della fata e del nano. Nelle favole rappresenta una profonda pulsazione di saggezza nella cultura della psiche. È la creatura che continua nel lavoro interiore, instancabile, lavora anche quando dormiamo, specialmente quando dormiamo, quando non siamo del tutto consapevoli di quanto mettiamo in atto.
In tal modo la bambola rappresenta lo spirito interiore di noi donne; la voce della ragione intima, della conoscenza e della consapevolezza intime. È come l’uccellino che sussurra all’orecchio dell’eroina, le rivela il nemico nascosto e che fare per salvarsi. È la saggezza dell’homunculus, l’esserino che sta dentro. È il protettore mai visibile e sempre disponibile.
Non c’è maggiore benedizione che una madre possa dare alla figlia di un senso affidabile della veracità del proprio intuito.
Il nutrimento della bambola è un ciclo essenziale della Donna Selvaggia, la custode dei tesori nascosti. Vassilissa nutre la bambola in due modi, prima con un po’ di cibo, un po’ di vita per questa nuova avventura psichica, e poi trovando la strada per raggiungere l’Antica Madre Selvaggia, la Baba Jaga, dando ascolto alla bambola… a ogni biforcazione la bambola indica la strada “di casa”.
La relazione tra la bambola e Vassilissa simboleggia una forma di magia empatica tra la donna e il suo intuito. Questa è la cosa da passare di donna in donna, questo felice legame e nutrimento dell’intuito. Come Vassilissa, rafforziamo il nostro legame con la nostra natura intuitiva ascoltandoci dentro a ogni svolta della strada.

Il quarto compito: affrontare la Strega  Selvaggia
La Baba Jaga vive in una casa che poggia su zampe di gallina, che quando vuole volteggia. La casa della Baba Jaga fa parte del mondo animale, e Vassilissa ha bisogno di questo elemento della sua personalità. Questa casa con le zampe di gallina cammina, piroetta persino, è viva e piena di entusiasmo e di gioia. Questo è il fondamento principale della psiche della Donna Selvaggia, una gioiosa forza vitale, dove le case danzano, gli oggetti inanimati come il mortaio volano come uccelli, dove la vecchia può fare magie e nulla è come appare, ma per lo più meglio di come pareva all’inizio.
Il dono della bambola intuitiva fatto dalla madre amabile originaria è incompleto senza l’assegnazione dei compiti e il controllo dei medesimi da parte della Vecchia Selvaggia. La Baba Jaga è il midollo della Donna Selvaggia, e lo sappiamo perché conosce il passato. Dice quando arriva Vassilissa; “Certo, conosco te e i tuoi”. Inoltre, come nelle altre incarnazioni come Madre del Giorno e Madre della Notte, dea della Vita/Morte/Vita, la vecchia Baba Jaga è la custode degli esseri del cielo e della terra: Giorno, Sole Nascente, Notte. Li chiama “il mio Giorno, la mia Notte”.
La Baba Jaga incute paura perché è insieme il potere di annientamento e il potere della forza vitale. Osservare la sua faccia significa vedere la vagina dentata, occhi di sangue, il neonato perfetto e le ali degli angeli, tutto insieme.
Vassilissa rimane e accetta la divinità della madre Selvaggia, con verruche e tutto il resto. Una delle sfaccettature più interessanti della Baba Jaga è che minaccia, ma che è giusta. Non fa del male a Vassilissa finché questa si merita il suo rispetto. Il rispetto per il grande potere è una lezione cruciale. Una donna deve riuscire a stare di fronte al potere perché alla fine una parte di quel potere diventerà suo. Affronta la Baba Jaga non mostrandosi ossequiosa o vanagloriosa o piena di millanteria, non fugge né si nasconde. Si presenta con tutta sincerità così com’è.

Il quinto compito: servire il Non Razionale
In questa parte del racconto Vassilissa chiede alla Baba Jaga il fuoco: le sarà dato se in cambio eseguirà alcuni lavori domestici.
Il bucato è un simbolo favoloso. Ancora oggi, in alcuni villaggi, per lavare gli indumenti si scende al fiume, e là avvengono le abluzioni rituali che si fanno dall’inizio dei tempi per rinnovare il tessuto.
È un simbolo bellissimo della purificazione della psiche nel suo complesso.
Nella mitologia la tela viene vissuta dalle madri della Vita/Morte/Vita. Tre sono le Parche: Clotho, Lachesis e Atropos , e c’è Na’ashié’ii Asdzáá, la Donna Ragno, che donò ai navajo l’arte della tessitura. Queste madri della Vita/Morte/Vita insegnano alle donne la sensibilità a quanto deve morire o deve vivere, a quanto deve essere cardato e a quanto deve essere tessuto. Nel racconto la Baba Jaga incarica Vassilissa del bucato per riportare all’aperto, alla consapevolezza, queste tessiture della Dea della Vita/Morte/Vita, lavandole, rinnovandole.
Lavare qualcosa è un rito di purificazione senza tempo. Non significa soltanto purificare ma anche, come nel battesimo, immergere, inzuppare, permeare con un numen spirituale e col mistero. Nel racconto il bucato è il primo compito. Significa ridare elasticità a quanto si è allentato. Gli indumenti sono come noi, mille volte indossati, finché idee e valori non si allentano per il passare del tempo. Il rinnovamento, la rivivificazione, avvengono nell’acqua, nella riscoperta di quanto consideriamo vero, di quanto riteniamo sacro.
Nel simbolismo archetipo, gli indumenti rappresentano la persona, la prima visione che gli altri hanno di noi. La persona è una sorta di camuffamento che agli altri fa vedere solo quanto vogliamo lasciare vedere di noi, e niente di più. Ma esiste un significato più antico per la parola persona, e si ritrova in tutti i riti dell’America Centrale. La persona non è semplicemente una maschera dietro la quale nascondersi: è piuttosto una presenza che riesce a eclissare la personalità mondana. In questo senso, persona o maschera è un segno di rango, virtù, carattere e autorità. La persona è il significato esterno, l’esibizione della padronanza.
È facile immaginare che i segni del potere e dell’autorità della Baba Jaga – gli indumenti – siano a immagine e somiglianza del suo modo di essere: forti, durevoli. Lavarli è quindi una metafora attraverso la quale impariamo a prendere atto e ad assumere questa combinazione di qualità, e anche a selezionare, accomodare, rinnovare tali qualità mediante la purificatio, il lavacro delle fibre dell’essere.
Vassilissa ha poi il compito di scopare la capanna e il cortile.
Ramazzare significa non soltanto cominciare a dar valore alla vita non superficiale ma anche occuparsi del suo ordine. Nello spazio sgombro la natura selvaggia delle donne fiorisce meglio. Ramazzare la capanna e il cortile della Baba Jaga, significa mantenere sgombre e in ordine anche le idee insolite, non comuni, mistiche, fantastiche.
Accendere il fuoco per cucinare per la Baba Jaga: la donna deve voler bruciare di passione, di parole, di idee, di desiderio per qualunque cosa ami veramente. È in realtà questa passione che permette di cucinare, e a essere cucinate sono le idee sostanziose. Per cucinare per la Baba Jaga, dunque, bisognerà accertarsi che la propria vita creativa abbia sotto un bel fuoco.
Vassilissa apprende inoltre che la Madre Selvaggia ha bisogno di molto nutrimento per fare il suo lavoro. La Baba Jaga non può seguire una dieta che consiste in una foglia di lattuga e in un caffè nero. Se si desidera stare vicine alla Madre Selvaggia, bisogna comprenderne l’appetito per talune cose. Per avere una relazione con l’antico femminino bisogna cucinare molto.

Da: Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés

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