giovedì 10 febbraio 2011

Il fabbro e i folletti


In una casa di pietra accanto alla sua fucina viveva un tempo un fabbro chiamato Alasdair MacEachern, conosciuto da tutti come Alasdair dal Forte Braccio. Sua moglie era morta mettendo al mondo il loro primogenito, così Alasdair abitava da solo con il figlioletto Neil, un ragazzo esile dagli occhi dolci e sognanti. Il padre lo addestrò nella sua fucina e, come apprendista, il giovane prometteva decisamente bene.
Fin dal momento della sua nascita i vicini di Neil riconobbero in lui quel genere di mortale che il Piccolo Popolo amava rapire per portarlo con sé nella Terra della Luce, facendolo diventare uno dei loro. Avvertirono dunque il padre di non perderlo mai di vista e di tenerlo con sé fino a che non avesse raggiunto l’età adulta.
Alasdair prestò molta attenzione ai consigli dei vicini e, al calar della sera, prese l’abitudine di appendere un ramo di sorbo rosso sulla porta di casa. Il sorbo era infatti un potente amuleto contro i poteri del Piccolo Popolo.
Passarono gli anni, e un giorno Alasdair dovette partire per un viaggio. Poiché sapeva che non sarebbe riuscito a tornare in tempo per la notte, disse a Neil: “Non dimenticare, figlio mio, di mettere un ramo di sorbo rosso sopra la porta di casa, quando farà notte; così saremo tranquilli che il Piccolo Popolo non verrà a importunarti per cercare di rapirti e farti diventare uno dei loro.”
Neil promise che se ne sarebbe ricordato e Alasdair dal Forte Braccio si mise in viaggio.
Il giovane attese ai suoi compiti quotidiani, spazzò la casa, munse la capra e sparse le granaglie per il pollame nell’aia. Poi avvolse in un panno sei focaccine d’avena e una fetta di formaggio e si recò nella brughiera, dove amava passare le giornate in compagnia della soffice erica, cullato dal gorgoglio degli innumerevoli ruscelli che scorrevano tra quelle aspre colline. Camminò tutto il giorno fermandosi solo per consumare le sue provviste.
Quando tornò a casa era già notte e Neil si sentiva molto stanco. Senza pensare alle raccomandazioni del padre, aprì il suo letto ad armadio nell’angolo della stanza e vi si gettò, esausto. Si addormentò all’istante, senza ricordarsi del ramo di sorbo rosso da appendere sulla porta di casa.
Il giorno dopo, tornando a casa, Alasdair trovò la porta aperta, il fuoco spento e il pavimento in disordine; nessuno aveva munto la capra né sfamato il gallo e le galline nell’aia. Chiamò allora il figlio, che gli rispose a mezza voce dal suo letto ad armadio nell’angolo.
“Padre, sono a letto malato” disse Neil con un filo di voce. “È meglio che rimanga qui finché sarò guarito.”
Allarmato da quelle parole, Alasdair si avvicinò al letto e rimase dolorosamente sorpreso nel vedere quanto Neil fosse cambiato dal momento della sua partenza. Benché il padre non si fosse assentato per molto il ragazzo, disteso sotto la coperta, appariva davvero in cattive condizioni. Non solo era magro e sciupato ma la sua pelle era diventata giallastra e rugosa come quella di un vecchio. E Neil era poco più che un bambino. Passarono i giorni e il ragazzo non mostrava alcun segno di miglioramento. Qualcosa cambiò, in effetti: fu colto da un appetito insaziabile, tanto che avrebbe continuato a mangiare tutto il tempo.
Giorno dopo giorno, Alasdair era sempre più preoccupato per la sorte del figlio, così accolse con il cuore gonfio di speranza l’arrivo alla sua casa di un vecchio noto in tutti i dintorni per la sua saggezza. Forse lui, che conosceva molte cose, avrebbe potuto rivelargli di che male soffriva il figlio. Lo salutò dunque con gioia e si mise subito a descrivergli ciò che era accaduto al ragazzo. Il vecchio ascoltò il racconto con attenzione, facendo appena ogni tanto qualche cenno di assenso. Quando Alasdair ebbe finito di parlare gli mostrò il ragazzo, che giaceva ancora a letto.
“Quello che mi stai chiedendo è cosa si può fare per guarire il ragazzo” esordì il vecchio dopo che si furono allontanati un po’ dalla casa. “Bene, io ti dico che in quel letto non c’è affatto tuo figlio. In tua assenza Neil è stato rapito dal Piccolo Popolo, che ha messo al suo posto il giovane che si trova ora in questa casa.”
“Povero me, e cosa posso fare adesso?” domandò Alasdair “Potrò mai rivedere il mio caro figliolo?”
“Ascoltami bene” disse il vecchio. “Per prima cosa bisogna essere sicuri che colui che giace nel letto di tuo figlio sia davvero un sostituto. Torna a casa e raccogli quanti più gusci d’uova riuscirai a trovare, quindi sparpagliali ben bene attorno al letto, in modo che la creatura li possa vedere. Riempili d’acqua e trasportali fin davanti al focolare, fingendo che siano molto pesanti, poi sistemali là con grande ostentazione.”
Alasdair memorizzò le istruzioni del vecchio e, una volta tornato a casa, si mise subito all’opera. Aveva appena cominciato che un riso beffardo si levò dall’angolo della stanza. “Da ottocento anni che sono al mondo, giuro che non ho mai visto in vita mia una cosa del genere!” esclamò con una voce stridula colui che il padre aveva creduto fosse il figlio Neil.
Alasdair si precipitò immediatamente dal vecchio a raccontargli l’accaduto.
“Questa è la prova che si tratta di un sostituto, messo al posto di tuo figlio dal Piccolo Popolo” disse il vecchio. “Bisogna liberarsi in fretta di lui, poi ti aiuterò a ritrovare il giovane Neil. Svelto, accendi un gran fuoco davanti al letto in cui giace la creatura. Lui ti domanderà: ‘A che serve quel fuoco?’ Tu rispondigli: ‘Lo vedrai fra un istante’. Poi senza perder tempo afferralo e gettalo tra le fiamme. Vedrai che volerà fuori attraverso il buco nel tetto della casa.”
Alasdair tornò a casa e, ancora una volta, eseguì gli ordini del vecchio. Accese il fuoco davanti al letto ad armadio nell’angolo della stanza e udì la vocina chiedergli: “A che serve quel fuoco?” “Lo vedrai tra un istante” rispose l’uomo seguendo le istruzioni del vecchio. E, afferrata la creatura, la gettò tra le fiamme. Con un urlo spaventoso, il folletto saltellò prima su un paio di gambette gialle, poi volò fuori attraverso il buco nel tetto, e scomparve.
“E adesso?” chiese Alasdair al vecchio. “Mi aiuterai a ritrovare mio figlio?”
“Vedi quella collina verde e rotonda?” chiese il vecchio indicandogli con la mano un’altura erbosa che si trovava poco distante dalla casa. “Tuo figlio è stato portato laggiù.”
“Quella è una delle dimore dei folletti” aggiunse l’uomo. “E ora ascolta bene cosa devi fare. Aspetta la prossima notte di luna piena: allora la porta sulla collina si aprirà e potrai entrare a cercare tuo figlio. Porta con te la tua Bibbia, il tuo pugnale e un gallo. Conficca il pugnale all’ingresso della collina, per evitare che la porta si chiuda su di te: i folletti, infatti, non possono toccare acciaio che sia stato forgiato da mani mortali. Una volta entrato nella collina li sentirai cantare, ballare e far festa alla luce di una grande fiamma. Ma tu avanza con passo sicuro. Non aver timore, la tua Bibbia ti proteggerà. Giungerai ben presto in prossimità di un’ampia caverna, e lì vedrai tuo figlio al lavoro in una fucina. Il Piccolo Popolo ti interrogherà e tu dovrai rispondere con fermezza che sei venuto per riprenderti tuo figlio, e che non te ne andrai assolutamente senza di lui.”
Il vecchio finì di parlare e il fabbro lo accompagnò per un tratto, ricoprendolo di benedizioni e ringraziamenti per ciò che aveva fatto per lui.
Ad Alasdair non mancavano né la forza né il coraggio, dunque attese con impazienza il momento di partire per andare a ritrovare suo figlio. La luna nuova non tardò a venire e, quando fu ancora una volta piena e alta nel cielo, il fabbro partì alla volta della verde collina. Come gli aveva consigliato il vecchio, al petto stringeva la Bibbia e nel fodero teneva il pugnale da lui stesso forgiato, il gallo era immerso in un sonno profondo sotto il suo braccio sinistro.
Avvicinatosi alla collina, gli parve di udire i folletti cantare e far festa. A un tratto il suono si fece più intenso e, poco dopo, il fianco della collina si aprì lasciando fuoriuscire un accecante bagliore. Lesto Alasdair sguainò il pugnale e lo conficcò con un colpo secco nella soglia del regno dei folletti. Quindi avanzò verso la luce, tenendo saldamente la Bibbia stretta al petto e il gallo addormentato sotto il braccio sinistro. E dopo essersi fatto strada a spallate tra i folletti scatenati nella danza, Alasdair vide Neil, suo figlio, pallido e con gli occhi sbarrati, che lavorava in una fucina attorniato da un gruppo di verdi folletti.
Non appena i rappresentanti del Piccolo Popolo si accorsero della presenza di Alasdair si affollarono intorno all’intruso per scoprire chi mai fosse quel mortale che aveva osato sfidarli varcando la soglia della loro dimora. Grazie al potere della Bibbia che teneva stretta a sé, tuttavia, nessuna di quelle creature avrebbe potuto fargli del male o gettare su di lui qualche incantesimo. Così il fabbro si rivolse al figlio, alzando bene la voce in modo che tutti potessero udire: “Sono venuto a riprendere mio figlio; liberatelo dall’incantesimo e lasciatelo tornare dalla sua gente e alla sua terra, da cui lo aveva rapito.”
Neil dapprima trasalì, nell’udire la voce del padre, poi fece un passo in avanti e protese le braccia verso di lui. Il suo sguardo era finalmente tornato normale. Un gruppo di folletti però esplose in una spaventosa risata di scherno.
Ma in quel momento – tanto veloce è lo scorrere del tempo nella terra dei folletti agli occhi di un mortale – il cielo si tinse di luci rosate che annunciavano l’alba e, simultaneamente, il gallo che Alasdair teneva sotto braccio si riscosse dal sonno. Alzò il collo mostrando la rossa cresta dritta sulla testa e salutò l’apparire del giorno con un sonoro chicchirichì.
I folletti, bisogna sapere, non possono andarsene in giro con la luce del giorno. Quel suono improvviso era per loro il segnale che la festa era finita e dovevano ritirarsi nel loro reame. Nessuno di loro rise più, anzi, lo scherno si mutò in costernazione.
In tutta fretta trascinarono il fabbro e suo figlio verso l’apertura sul fianco della collina, in modo che quel mortale potesse riprendersi il pugnale e permettere loro di richiudere l’ingresso del regno sotterraneo, celandolo agli occhi degli uomini.
Alsdair raccolse il pugnale; quando la collina stava per richiudersi dietro di loro, si udì una voce pronunciare queste parole: “Possa tuo figlio perdere la parola fino al giorno in cui romperà l’incantesimo che ora getto su di lui! Questa è la maledizione che lo colpirà!”
Alsdair e Neil si ritrovarono insieme sul familiare pendio nell’aria tersa del mattino. Non un segno nel terreno erboso indicava la presenza di una porta o un’apertura verso il Mondo della Luce. Padre e  Figlio fecero ritorno alla loro casa e da quel giorno ripresero le loro occupazioni, Alsdair a far soffiare i mantici nella fucina e Neil ad aiutarlo, imparando i segreti del mestiere. Ma una cupa tristezza incombeva sui due, dal momento che Neil non poteva più parlare in seguito alla maledizione scagliata su di lui dai folletti. Ebbene sì, quel terribile incantesimo si era avverato, e dal giorno in cui era stato liberato dal Piccolo Popolo le labbra del figlio del fabbro erano rimaste serrate. Piano piano, Neil si rassegnò a convivere con il suo mutismo per il resto della sua vita.
Trascorsi un anno e un giorno da questi avvenimenti, Alasdair si mise al lavoro per forgiare una nuova spada per il capo del suo clan. Gli era stata commissionata una possente spada di quelle chiamate claymore, da impugnare a due mani. Neil lavorò di buona lena per tenere l’acciaio sulla fiamma fino al calor rosso per far sì che la lama a doppio taglio fosse ben affilata e temprata. E per tutto il tempo rimase in silenzio.
Quando venne il turno del padre, e Alasdair iniziò a lavorare alla spada, Neil improvvisamente fu attraversato dal ricordo del suo breve soggiorno nel regno dei folletti. Rammentò allora la fucina del Piccolo Popolo, con le scintille luccicanti che sprizzavano nell’aria. Ma i loro fabbri non usavano solo il fuoco e il martello; tempravano con speciali incantesimi le lame delle loro spade fatate, forgiando armi magiche e invincibili. Così Alasdair si fece da parte e osservò il figlio portare a termine la lavorazione della spada per il capo clan. In breve prese forma un’arma forgiata alla maniera dei fabbri folletti. Al termine del lavoro Neil guardò il padre con aria trionfante.
“Questa è una spada che non tradirà mai chiunque la impugni!” esclamò. Erano le prime parole che pronunciava dopo un anno e un giorno di silenzio.
Ecco cos’era accaduto: creando una spada magica con le sue mani, Neil aveva spezzato la maledizione del silenzio che gravava sul suo capo. Quella lama aveva rotto finalmente l’incantesimo.
Da quel giorno il ragazzo dimenticò per sempre la Terra della Luce e, quando successe al padre, dopo qualche tempo, diventò il migliore fabbro di tutto il clan. Grazie alla preziosa spada magica, chiamata Claidheamh Ceann-Ileach, che rendeva invincibile chiunque la impugnasse, il capo conseguì grandi vittorie, portando molto onore all’intero clan.

Da: Fiabe celtiche. Gnomi, folletti, fate: storie del Piccolo Popolo a cura di Francesco Fornaciai

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