martedì 18 ottobre 2011

I Celti in Italia


Già dal XII sec. a.C. nel Canton Ticino e nelle regioni nord occidentali dell'Italia (Piemonte e Lombardia) si sviluppa una cultura detta di Golasecca, che discende direttamente dalla cultura dei Campi di Urne.
Queste genti parlano una lingua celtica, detta Leponzio, ai Leponzi è attribuita la più antica iscrizione in lingua celtica (Iscrizione di Prestino VI sec. a.C.) di tutta l'Europa.
Gli Insubri sono considerati gli eredi diretti dei precedenti Golasecchiani.
A partire dal V secolo a.C. (ma qualcuno opta per il IX secolo a.C., mentre altri indicano il VII secolo a.C.) le popolazioni celtiche valicano a più riprese i passi alpini del Gran San Bernardo e del Piccolo San Bernardo per riversarsi nella Pianura Padana, dove i Boi, i Lingoni, gli Insubri, i Senoni e i Cenomani si stabilirono.
I popoli che vivevano al di là delle Alpi che separano l’Italia dalla Francia e dalla Svizzera, appartenevano alla stirpe celtica europea e sia il passo del Gran San Bernardo che quello del Piccolo San Bernardo in Valle d’Aosta (ma anche il Moncenisio, il Gottardo, il Brennero e il Tarvisio), portano testimonianza di un intenso passaggio di genti celtiche. Le numerosissime monete celtiche (oltre 600) ritrovate nei laghi alpini, lì gettate come offerta agli dèi del luogo per proteggere il percorso dei viandanti, portano i nomi di varie tribù, come i Leuci (stanziati nelle valli superiori della Mosa e della Mosella, dall’alta Marna ai Vosgi), i Sequani (grande e importante popolazione stanziata a ovest del Giura, nell’odierno dipartimento di Franche-Comté, e in Alsazia), i Lingoni, i Remi, gl Elvezi, gli Insubri e i Cenomani. Troviamo perciò popolazioni celtiche stanziate appena oltre i passi alpini (Veragri, Seduni e Nantuates nella valle del Rodano; Ceutrones, Acitavones, Medulli e Graioceli oltre il Gran San Bernardo) e in continuo passaggio verso la Pianura Padana e l’Italia in generale.
L’intera Italia settentrionale è costellata da nomi celtici che designano luoghi geografici o città e che testimoniano uno stanziamento stabile per parecchi secoli. Pensiamo alle Alpi, che sembrano derivare il loro nome dalla parola celtica Alp/Arp, il cui significato è “montagna”, o all’Alpis Graia (passo del Piccolo S. Bernardo), fonte di numerose interpretazioni tra le quali è stata proposta la derivazione del nome celtico Grannus, ma anche dalla parola grau, “roccioso”, “scosceso”, oppure dal nome della tribù celtica dei Graioceli, che abitavano nella Gallia Transalpina. Il significato del passo del Gran S. Bernardo (Summus Poenius) è invece più semplice, dato che il nome deriva dalla divinità celtica Penn, ma potrebbe anche riferirsi alla  parola penn, “sommità”.
I Celti scesero e si stanziarono in Italia in successivi spostamenti avvenuti intorno al V-IV secolo a.C., dovuti presumibilmente all’aumento di popolazione delle varie tribù o a nuovo cambiamento del clima, oppure a motivi prettamente di conquista. Si sa per certo che nel 400 a.C. circa, gruppi armati di Celti giungenti dall’alto Reno e dall’alto e medio Danubio attraversarono il passo del Gran San Bernardo e del Brennero e si riversarono nella Pianura Padana, dove gli Insubri fondarono Mediolanum, i Cenomani Briscia, Bergamum e Verona.
Una città prettamente celtica che sorge sulle rive della Dora Baltea, famosa per i suoi cavalli, e fiorente nel 100 a.C., è quella di Ivrea, l’antica Eporedia (da Eporedicas: buoni allevatori di cavalli o da Eporedoria: luogo di coloro che vanno su carri a cavallo).
I Boi, i Lingoni, i Biturigi cercavano oro e vino etruschi, ma trovarono soprattutto nuovi territori in cui stabilirsi.
Tito Livio (Storie lib. I-XXV), cita nei suoi scritti i nomi di sei popoli celtici che invasero l’Italia nel IV secolo a.C: Insubri, Cenomani e Salluvii, che si stabiliscono a nord del Po; Boi, Lingoni e Senoni che invece si stanziarono a sud del grande fiume. Gli Insubri sarebbero stati una suddivisione degli Edui, che avevano come capitale Autun (la moderna Saône-sur-Loire); i Cenomani, una delle tribù secondarie che formavano il gruppo della nazione Volcae, provenivano probabilmente da una regione situata a ovest della Boemia; i Boi sono una parte del popolo che, condotto da Segoveso, conquistò in quello stesso periodo la Boemia, dalla quale furono più tardi cacciati e costretti a dividersi in due gruppi di cui uno si diresse in Pannonia (a sud di Vienna, Austria) e l’altro presso gli Edui in Gallia. I Lingoni portano lo stesso nome della tribù celtica stanziata nel distretto della Haute-Marne, in Francia.
La maggior parte degli invasori Celti giunti in Italia proveniva quindi dalla Francia orientale, dalla Germania meridionale e da parte della Svizzera. Non furono probabilmente popoli interi a spostarsi nelle nuove terre, ma solo una parte della gioventù insoddisfatta dei vecchi luoghi occupati dalle loro tribù (forse troppo numerose) e desiderosi di nuove acquisizioni e avventure, mossi quindi da intenti carichi di audacia ed energia.
Le fonti classiche attestano che i primi a giungere in Italia furono gli Insubri che, dopo aver saccheggiato la città etrusca di Melpum, si stanziarono nei dintorni d Milano. Agli Insubri seguirono i Boi, i Lingoni e i Senoni che si stabilirono in Lombardia. Ma la maggior parte delle genti celtiche si stabilirono nella valle del Po: i Cenomani a nord-est, i Boi nel distretto di Bologna, i Lingoni a sud e in seguito si spinsero fino agli Appennini. I Senoni raggiunsero la costa adriatica di fronte alle Marche, tra Rimini e la foce del fiume Iesi, a nord di Ancona, e vi si fermarono dando vita a una regione conosciuta da quel momento come Ager Gallicus.
Solo una parte degli invasori Celti però, si stanziò immediatamente nei nuovi territori, mentre l’altra continuò ad avanzare lungo la penisola italica. Presso il piccolo fiume Allia, alla confluenza con il Tevere, sconfissero le legioni romane e raggiunsero Roma, che fu incendiata e saccheggiata nel 387 a.C. La sconfitta subita dai Romani servì a questi ultimi per rinforzare le difese della città, costruendo solidi bastioni in pietra, e per riorganizzare l’esercito, così da diventare in seguito una delle più grandi potenze del mondo antico.
Roma nel 338 a.C. aveva il predominio sulla confederazione ormai sciolta delle città etrusche e sulle tribù sannitiche e cominciava a estendere il proprio dominio sull’Italia intera. I Celti ne contrastarono gli intenti quando, nel 299 a.C., affrontarono e distrussero un esercito romano a Clusium (Chiusi), ma quattro anni dopo subirono una sconfitta in Umbria, presso Sentino, e dopo altri sanguinosi scontri furono ricacciati verso l’Italia settentrionale. I Romani fondarono sulle terre dei Senoni, nel 280 a.C., la colonia civile di Sena Gallica (Senigallia).
Gli Insubri e i Boi chiamarono allora in aiuto le forze celtiche d’oltralpe e si scontrarono con i Romani nella battaglia di Talamone  nel 225 a.C., subendo una grave sconfitta che costò loro i territori.
Nel 218 a.C. la discesa di Annibale in Italia permise ad alcune tribù celtiche di tentare di contrastare la supremazia romana nella penisola e molti mercenari si unirono al Cartaginese, senza tuttavia riportare grandi successi. Il confine romano si spostò inesorabilmente verso l’Italia settentrionale e tra il 225 e il 190 a.C. si susseguirono numerose battaglie che portarono alla conquista totale della Gallia Cisalpina.
Nell’82 a.C., sotto il governo di Silla, essa fu eletta provincia di Roma.
A lungo ritenuta una provincia marginale dell’area celtica, dopo accurato esame l’Italia appare invece una regione cruciale per la comprensione dei fenomeni che nel IV secolo a.C. interessarono la cultura di La Tène. Dall’Italia infatti partirono le correnti e gli influssi, percepibili in particolare nel mondo artistico, che segnarono profondamente e durevolmente la cultura dei Celti storici.
Ma questa è anche la regione in  cui il processo di integrazione dei gruppi di celtici immigrati per motivi bellici può essere seguita nel modo migliore, grazie all’abbondanza delle informazioni testuali, che hanno un equivalente soltanto nelle notizie di cui disponiamo, tre secoli dopo, per la Gallia transalpina. La comparazione di tali informazioni con i documenti archeologici dimostra in maniera esemplare l’incompletezza delle conclusioni che si possono trarre usando solo una di queste due categorie di fonti: l’impressione di un popolamento celtico omogeneo, uniforme e in costante contrapposizione con l’ambiente indigeno, che ci si può fare leggendo i testi, appare quasi del tutto falsa se si analizzano i materiali archeologici delle regioni interessate. In effetti le vestigia rivelano la varietà dell’elemento celtico, che è senz’altro dovuta alla diversa derivazione delle sue principali componenti, oltre che alla coabitazione con vari ambienti autoctoni, nel quadro dei complessi territoriali che i testi collocano sotto il loro dominio egemonico.
La capacità di integrazione etnica e culturale palesata in Italia dai Celti costituisce certamente un ottimo modello per capire meglio ciò che è successo nelle altre zone di espansione storica. Il loro caso permette inoltre di valutare la rapidità con cui essi seppero creare formazioni etniche eterogenee sotto il loro controllo: non ci sono volute più di un paio di generazioni affinché popoli come i Senoni o i Boi giungessero al grado di coerenza culturale che riflette, nella seconda metà del IV secolo a.C., il momento di equilibrio del fenomeno celto-italico

Da: Il vischio e la quercia di Riccardo Taraglio
La grande storia dei Celti di Venceslas Kruta

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