sabato 30 aprile 2011

Dall'Isola dei Preti ad Avalon




“C’è qualcuno che piange”, disse Lancillotto e si alzò in fretta. “Là… sembra una bambina sperduta…”
Morgana si affrettò a seguirlo. Era possibile che una delle sacerdotesse più giovani si fosse smarrita, anche se non avrebbe dovuto allontanarsi troppo dalla Casa delle Vergini.
Quel pianto ora svaniva ora ritornava distinto. La nebbia incominciava a salire fitta dal Lago e Morgana non capiva se fosse dovuta all’umidità e all’appressarsi del tramonto, oppure se si trattava del velo che cingeva il reame magico.
“Là”, esclamò Lancillotto, avventurandosi nella nebbia, e Morgana scorse, tra l’ombra e la realtà, la figura di una ragazza che piangeva, immersa nell’acqua fino alle caviglie.
Sì, pensò, c’è veramente, e non è una sacerdotessa. Era giovanissima e straordinariamente graziosa, tutta bianca e oro, con la carnagione d’avorio sfumata di corallo, gli occhi celesti, i lunghi capelli biondi e splendenti. Portava un abito bianco che cercava invano di riparare dall’acqua, e il pianto non poteva alterare la sua grazia.
“Cos’è accaduto, piccola?” chiese Morgana. “Ti sei persa?”
La ragazza li guardò. “Chi siete? Non credevo che qualcuno potesse sentirmi. Ho chiamato le monache, ma non mi hanno risposto, e poi la terra s’è mossa e mi sono trovata all’improvviso in acqua, tra le canne, e ho avuto paura… Dove siamo? Non ho mai visto questo posto, eppure sono al monastero da quasi un anno…” E si segnò.
Morgana comprese com’era accaduto. Il velo s’era assottigliato, come avveniva talvolta, e la ragazza era abbastanza sensitiva da accorgersene. In certi casi, qualcuno poteva avere una visione momentanea dell’altro mondo: ma il passaggio dall’uno all’altro era raro.

Da: Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley

venerdì 29 aprile 2011

Faery wedding

Ho appena visto in TV il matrimonio di William e Kate, per me quello non è un matrimonio da favola, quello rientra ancora nella realtà ordinaria, mentre la magia, il sogno e le emozioni sono tutt’altra cosa.
Chiunque lo voglia veramente può trasformare la sua vita in una favola.
Queste per me sì che sono immagini di un matrimonio da favola, officiate da un'alta sacerdotessa (quella con il libro dei rituali in mano) e prese da http://www.kissthegroom.com/2009/06/the-faery-wedding/:




















Tutta questa bellezza, i costumi, i fiori e i decori sono stati creati da Tricia Fountaine, magica lei stessa e amante di tutto quello che è fatato

mercoledì 27 aprile 2011

Celebrare Beltane




Beltane è un momento in cui le energie della luce e della vita si manifestano nel loro aspetto più gioioso e trionfale. Questo è un tempo in cui celebriamo il ritorno dell’estate e della fertilità, periodo di scampagnate e feste all’aperto. È un periodo dell’anno in cui di solito ci sentiamo fisicamente bene, in cui i nostri bioritmi si sono adattati alle accresciute ore di luce e ci siamo lasciati alle spalle i momenti critici della fine dell’inverno e dell’inizio della primavera. Quindi è il momento adatto per operare, per condurre a realizzazione le cose che ci siamo prefissati di compiere. Anche psicologicamente i nostri pensieri si volgono all’esterno, per fare e operare. Questa estroversione stagionale fa’ sì che questa sia un’epoca propizia ai nuovi amori e alle nuove amicizie, come anche al rafforzamento delle relazioni già esistenti. È il momento di passare più tempo con gli altri. È anche tempo di stimolare la nostra creatività e la nostra fertilità interiore. Possiamo celebrare questa festa in vari modi. Seguendo le tradizioni possiamo piantare un palo di maggio in un prato e danzare con i nostri amici. Oppure possiamo mettere ghirlande di fiori attorno ad un albero. Un’altra tradizionale attività di Beltane è attaccare nastri rossi (colore della passione) a cespugli di biancospino per propiziare amore, fortuna o guarigione. Si possono accendere due piccoli fuochi e passare in mezzo ad essi per purificarci, sentendo la loro energia riempire i nostri corpi quando attraversiamo il loro spazio.
Se
 vogliamo si può celebrare questa data in un modo più rituale. La vigilia del primo maggio accendiamo un piccolo fuoco all’aperto o (se desideriamo restare in casa o non abbiamo la possibilità di trovare uno spazio adatto) una candela rossa dicendo: “Signore del Bosco porta i tuoi doni di fecondità perché la terra si desti dal suo sonno”. Poi si accende un secondo fuoco a sinistra del primo (o una candela color verde) dicendo: “Bella Signora della Terra, gioisci. Il Grande Cervo viene a cercare la sua sposa perché l’estate è arrivata. Poi passiamo in mezzo ai due fuochi per tre volte, salutando l’estate che è arrivata e gridando “Bel!”. Si medita per un attimo sui misteri della fertilità, con riferimento sia al fiorire della Natura, sia alla nostra fertilità interiore. Possiamo infine consumare ritualmente vino e dolci (lasciandone sempre una parte per la Madre Terra e le sue creature). Questo è un rituale che sarebbe preferibile celebrare con altre persone o ancor meglio, col proprio partner. In questultimo caso il rito può terminare nel modo in cui terminavano i festeggiamenti intorno ai fuochi di Beltane o al palo di Maggio: con un bel matrimonio” silvestre nel nome di Robin Hood e di Lady Marian (non è necessario procreare un figlio di maggio”!!!)...

Da: Feste pagane di Roberto Fattore

Beltane – la festa della fertilità


La fine della metà “oscura “ dell’anno e l’inizio dell’estate ha costituito da sempre un momento di passaggio, in cui la rigenerazione della vita vegetale è anche la resurrezione della vita cosmica, un ritorno al tempo mitico degli inizi. Nella tradizione celtica le due feste maggiori erano quelle che segnavano rispettivamente l’inizio dell’estate e l’inizio dell’inverno. Come molte altre popolazioni pastorali, gli antichi Celti avevano infatti due sole stagioni, non quattro: la metà oscura e la metà luminosa dell’anno. Nel Nord Europa inoltre, gli effetti della primavera cominciano a sentirsi solo all’inizio di maggio. Le successive suddivisioni dell’anno furono introdotte più tardi dagli agricoltori. Gli antichi Celti celebravano il 1° maggio la festa di Beltane (pron. Beltein) nome anglicizzato che corrisponde al gaelico irlandese Bealtaine (pron. B’ioltinna) e al gaelico scozzese Bealtuin (pron. B’ialten). In Scozia Bealtuin è il Giorno di Maggio, May Day, mentre in Irlanda Bealtaine è il nome dell’intero mese di maggio. Beltane significa “i fuochi di Bel”, i quali venivano accesi in onore di Bel (Beh, Balor o Belenos sono altri nomi con la quale è conosciuto in varie aree celtiche). Bel è il “Luminoso”, dio di luce e di fuoco. Non una divinità solare, perché per i Celti il sole era un’entità femminile, tuttavia presentante alcuni attributi solari. Una controparte celtica di Apollo, tanto per tracciare un parallelo con altri ambiti culturali. Il sole in molte tradizioni antiche era un simbolo della divinità, non la divinità stessa. Se questo può sembrare un concetto strano, basti pensare al Cristianesimo dove non viene adorato l’agnello ma tuttavia questo animale è simbolo di Gesù Cristo. Le quattro feste celtiche hanno in fondo un carattere stagionale e ctonio più che solare e celeste, a differenza delle feste solstiziali ed equinoziali. Per questo molti studiosi hanno interpretato Bel come l’equivalente del gallico Cernunnos e del britannico Herne, due divinità maschili della fertilità, signori dei boschi e degli animali, come indicano le loro corna nelle raffigurazioni che ci sono pervenute. Essi sono la controparte nordica di Pan e il loro culto, celebrato nei boschi e nelle campagne, sopravvisse a lungo nel Medio Evo, tanto che può aver contribuito a creare l’immagine delle streghe adoratrici del demonio.



Agli occhi degli ecclesiastici che cosa altro poteva essere un’entità animalesca munita di corna, e i cui fedeli celebravano riti orgiastici? Simbolicamente Cernunnos e Bel possono essere due aspetti del Dio Padre che feconda la Dea Madre, aspetti rappresentati dai due temi che dominano la festa di Beltane: fertilità e fuoco. Il fuoco in questa festa rappresenta appunto il calore della passione che genera la vita. I fuochi di Bel erano accesi sulle colline per celebrare il ritorno della vita e della fertilità nel mondo. Ogni dan o tribù accendeva ritualmente grandi fuochi per mezzo di scintille sprigionate da una selce. In Scozia, negli Highlands centrali, i fuochi di Beltane erano accesi tramite il cosiddetto needfire, il “fuoco della necessità” o“fuoco della miseria”: si usava allo scopo una tavola di quercia forata ed un palo, pure di quercia che veniva fatto ruotare velocemente per mezzo di una corda. La tradizione fissava in “tre volte tre” o “tre volte nove” il numero di coloro che dovevano far girare questo strumento. In Galles, nella Valle di Glamorgan, nove uomini rimuovevano dalle loro persone tutti gli oggetti di metallo e andavano nei boschi a raccogliere nove diversi tipi di legna; poi, in un buco scavato nel terreno veniva deposta la legna raccolta che era accesa ritualmente con due pezzi di legno (anche qui di quercia) sfregati insieme per provocare scintille. I nove diversi tipi di legna erano probabilmente i nove legni sacri dei Druidi. Essi erano forse sorbo selvatico, quercia, salice, nocciolo, betulla, biancospino, melo, pino, vite o rovo (altri elenchi danno al posto delle ultime tre piante il sambuco, il tasso e il vischio o ginepro). Il numero nove nella tradizione celtica è il numero che indica la completezza, quindi simbolico del cosmo. Tuttavia le accensioni rituali di fuochi si ritrovano anche al di fuori del mondo celtico: ad esempio in varie regioni europee i fuochi solstiziali erano accesi mediante una ruota fatta girare intorno ad un piolo fisso, mentre riti simili erano osservati nell’India vedica e a Roma per riaccendere il fuoco di Vesta. Lo sfregamento di legnetti, il tabù circa l’uso di metalli, l’utilizzo di selci, ci rinvia forse a epoche remotissime, antecedenti qualsiasi civiltà storica e testimonia l’antichità di queste tradizioni. Il fuoco sacro era simbolo del fuoco celeste, del calore primordiale che produsse la creazione e che si ripresentava a ogni ritorno della primavera.
È significativo l’uso di legno di quercia, infatti la quercia è l’albero attribuito alla metà luminosa dell’anno che proprio a Beltane celebra il suo trionfo.
Nell’Irlanda pagana nessuno poteva accendere un fuoco di Beltane finché l’Ard Ri (Grande Re) non avesse acceso il primo fuoco rituale sulla collina di Tara, il centro mistico e politico dell’antica Irlanda. San Patrizio sfidò questa usanza per distruggere le usanze pagane e San David fece una cosa simile in Galles. I fuochi di Beltane venivano spesso accesi in coppia, e tra i due fuochi veniva fatto passare il bestiame, per propiziare latte abbondante, fertilità e buona salute per tutto l’anno, prima di essere condotto ai pascoli estivi. Ci poteva essere una spiegazione “razionale” per questa pratica dato che il calore poteva uccidere i batteri e i microbi accumulatisi sulla pelle degli animali nelle sporche stalle invernali, ma il significato principale era comunque quello di una purificazione rituale tramite il fuoco, una vera e propria “pulizia di primavera”.
Il fuoco distrugge i poteri ostili, purifica l’aria e favorisce la fertilità di tutti gli esseri viventi. Incidentalmente, un detto gaelico che dice “essere preso tra due fuochi di Beltane” sta ancora oggi a indicare il trovarsi in un dilemma.
Anche le persone e gli oggetti venivano fatti passare attraverso i due fuochi.
La gente danzava attorno ai falò: si danzavano danze con alti salti quali la Danza del Cervo e la Danza del Salmone Saltante, ricordi di antiche danze di caccia e pesca. Molte donne danzavano in cerchio su bastoni di legno in una frenetica danza di fertilità, per promuovere la crescita dei nuovi raccolti (i bastoni divennero poi manici di scopa ma la loro forma fallica suggerisce sempre il tipo di energia che veniva evocata).
Quando le fiamme dei falò iniziavano ad abbassarsi le persone saltavano sui fuochi, usanza ancora praticata in Scozia e in Irlanda per propiziarsi la fortuna.
Così giovani e ragazze saltano per trovare l’anima gemella, i viaggiatori per garantirsi viaggi sicuri, le spose per ottenere figli e perfino le donne gravide per assicurarsi un parto facile! Infine, le ceneri dei fuochi venivano (e ancora oggi in certe località vengono) sparse sulla terra per garantire la fecondità dei campi.




Dopo le danze e i salti spesso le giovani coppie si appartavano col favore dell’oscurità continuando a modo loro le celebrazioni. Infatti Beltane era una festa di fertilità nella quale la Madre terra e il Grande Dio dei boschi si accoppiavano. Per la gente comune era una festa orgiastica. Per tutta la notte del 30 aprile (come si è detto i Celti facevano cominciare i giorni dal crepuscolo del giorno precedente) si susseguivano in un’atmosfera orgiastica banchetti e danze che terminavano con l’avvento della nuova vita. Su questa notte vegliava la Grande Dea della fecondità, che dominava allo stesso tempo il destino dei semi e quello dei morti e che perciò era la Dea della Morte in Vita. Si entrava in comunicazione con il mondo infero e con i defunti. Il grande studioso Mircea Eliade giustamente assimilò i semi ai morti, che aspettano di tornare in vita sotto una nuova forma e perciò si accostano ai viventi nei momenti in cui la tensione vitale raggiunge il culmine, cioè nelle feste di fertilità, quando sono evocate le forze generatrici della Natura. I morti necessitano dell’esuberanza organica dei vivi, così come i viventi necessitano dell’aiuto dei morti per far germinare i semi dei nuovi raccolti (dopotutto, Beltane si erge diametralmente in opposizione all’altra porta dell’anno Samhain, festa dei morti!). I bambini generati in questa notte si credeva fossero i morti ritornati in vita e Beltane veniva definita anche la Festa della Generazione dei Bambini.
In questo periodo, vero e proprio momento “caotico” di passaggio, le leggi della realtà ordinaria sono quasi sospese e si aprono le porte dei regni ultraterreni come il sidhe, il regno fatato dei Celti. A differenza dei defunti umani, gli esseri fatati non sempre sono benevoli: in questo periodo le fate appaiono agli umani e chiunque si addormenta sotto un biancospino (albero fatato) rischia di essere portato via da loro. Molte leggende associate a queste feste riguardano spesso gli incantamenti dell’Altro Mondo. Un mito legato a Beltane è quello gallese di Lludd. Ogni vigilia di Beltane il regno di Lludd soffriva a causa di uno spaventoso grido che provocava la sterilità nei campi, negli esseri umani e negli animali, facendo morire giovani e anziani e togliendo la forza agli adulti. Lludd scoprì che la causa di questo incantesimo era il combattimento fra il drago di Britannia e un drago straniero. Egli li catturò e li rinchiuse. Significativamente Lludd è figlio di Beh...
La notte del 30 aprile fu demonizzata per questi motivi dal Cristianesimo che ne fece una notte di convegni di spiriti e di streghe, da cacciarsi per intercessione di Santa Valpurga, monaca inglese dell’VIII° secolo e badessa del monastero tedesco di Heidenheim. In Germania questa è appunto la Walpurgisnacht o Notte di Santa Valpurga.
Ma anche nel folklore “pagano” europeo si prendevano precauzioni contro le fate e gli spiriti malvagi. Era (e spesso ancora è) tabù sposarsi a maggio perché era il mese delle Nozze Sacre del Dio e della Dea, e in Inghilterra non si comprano scope nuove di maggio perché esse spazzerebbero via la buona fortuna.
La festa celtica di Beltane divenne la festa medievale di Calendimaggio.
L’inizio della bella stagione era celebrato con tornei dove il vincitore, personificazione del Dio vittorioso sulle tenebre invernali, otteneva il diritto di sposare la damigella per cui si era battuto. In molte località europee divenne usanza formare comitive di giovani che giravano per i villaggi cantando stornelli e augurando la buona fortuna (il “cantar maggio” di molte località toscane). Rami e fiori venivano portati dai boschi la mattina di Beltane per decorare porte e finestre o per fabbricare ghirlande che i giovani portavano in giro per le strade cantando e chiedendo cibo e dolci in cambio. Infatti una caratteristica dei festeggiamenti di Beltane è la celebrazione della vegetazione, così una usanza celtica era quella di appendere una ghirlanda primaverile (simbolo della grande Dea) a un tronco privo di rami (simbolo fallico del Dio selvaggio).
In Inghilterra il simbolo della festa di maggio o May Eve (“vigilia di maggio”) divenne l’albero o palo piantato nelle piazze dei villaggi e adornato di nastri multicolori. Il palo di maggio non è altro che l’Albero Cosmico, l’Axis Mundi che collega i tre regni cosmici (celeste, terreno e infero). Gli sciamani usano l’albero cosmico per ascendere fino al mondo Superiore o discendere a quello Inferiore, come gli sciamani siberiani che usavano ritualmente un palo di betulla a sette pioli. In Galles la danza attorno al palo di maggio era chiamata “danza della betulla”.
Tutto ciò che è vivente si manifesta con un simbolo vegetale, e la vita che risorge celebra il suo trionfo intorno al palo delle danze, simboleggiata dai danzatori che, afferrato ciascuno l’estremità di uno dei nastri muovevano in direzioni opposte (gli uomini in un senso e le donne in un altro), finendo con l’intrecciare i nastri intorno al palo e con le coppie abbracciate: la danza della vita che muovendo in cerchi e spirali unisce tutti gli opposti, danza di morte e di rinascita. Ma a Beltane il palo di maggio ha anche un ovvio significato fallico, il potere fecondante della divinità maschile immerso nel grembo della Madre Terra e sormontato spesso dalla ghirlanda femminile della Dea. A Cerne Abbas nel Dorset, Inghilterra, c’è la figura antica del Gigante di Gesso, forse il Dio Padre celtico Dagda, con la clava e il fallo eretto. Fino a epoche recenti il palo di maggio era eretto sopra questa figura rappresentata su una collina gessosa e le donne che volevano un bambino visitavano il luogo trascorrendo anche la notte sul fallo del gigante. Si può facilmente comprendere perché i Puritani proibissero nel 1641 i pali di maggio, ripristinati solo successivamente con la restaurazione monarchica!



A Beltane si eleggevano tra i giovani anche il Re e la Regina di maggio, rappresentanti in terra delle antiche divinità, che regnavano per tutta la festa portando in processione i sacri rami (i “Maggi”) nei boschi e che spesso governavano anche le altre feste e danze dell’anno. La Regina simboleggia la giovane Dea dei Fiori e la nuova crescita e il Re rappresenta il Dio della Vegetazione e della morte dell’inverno, divinità personificata nel folklore come Jack­in­the­Green, cioè Jack il Verde. È il Verde Giorgio del folklore primaverile dell’Europa dell’Est ma è anche l’uomo vegetale scolpito nei pilastri e nelle travi delle cattedrali gotiche e romaniche (i boschi sacri della nuova religione...). Infine tutte le coppie si appartavano di nuovo nei campi e nei boschi, con la scusa di portare il Maggio o raccogliere fiori, e questo provocò nel corso dei secoli dure reazioni da parte delle autorità ecclesiastiche! Un chierico scozzese scrisse che “a fatica una ragazza torna a casa vergine”. Più tardi lo scrittore Rudyard Kipling scriverà nella sua poesia “A Tree Song”:

“Oh, non dite al prete della nostra promessa che la chiamerebbe peccato
Ma noi siamo stati fiori nei boschi tutta la notte”


Le leggende relative a Robin Hood, Lady Marian e Little John hanno giocato un ruolo importante nel folklore britannico della Vigilia di Maggio: pare che queste figure, lungi dall’avere una realtà storica siano simboli dei culti di fertilità sopravvissuti in epoca medievale. I cognomi inglesi Robinson, Johnson, Hodson derivano da antenati a cui vennero dati tali soprannomi (“Figlio di Robin”, ecc.) in quanto figli di questi “matrimoni” boscherecci.
Queste usanze possono sembrare a qualcuno volgari, tuttavia la fertilità e la continuazione della stirpe erano cose di primaria importanza: i figli erano una ricchezza e una benedizione, anche se illegittimi.
Ma la festa di Beltane era caratterizzata anche da altre usanze. Ad esempio analogamente al solstizio d’estate, in molte località europee si riteneva questo periodo propizio alle sorgenti miracolose e si compivano riti e pellegrinaggi alle sacre sorgenti. Così la rugiada raccolta all’alba del primo maggio era particolarmente potente e si usava come liquido calmante per gli occhi o come lozione di bellezza.
Un altro rituale folklorico è quello, tuttora esistente nelle Isole Britanniche, del cavalluccio di legno, Hobby Horse o Oss come viene chiamato. Appena prima di mezzanotte i Maggiaioli del villaggio di Padstow si recano alla locanda dove l’Oss è conservato e cantano un canto augurale al proprietario della locanda e a sua moglie. L’Oss è fatto di un cerchio ricoperto di pelli, con un palo munito di una mandibola di legno che si apre e si chiude. Il tutto viene indossato da un danzatore che gira per le strade accompagnato da musici che suonano un tamburo e una fisarmonica: ogni volta che la musica cessa esso si accascia per sollevarsi dopo un po’. L’Oss (che si ritiene abbia forti poteri di fertilità) viene imbrattato di grasso scuro così che qualsiasi ragazza catturata da esso ne veniva segnata. L’Oss moriva a mezzanotte per rinascere l’anno successivo.
Tipici delle feste di Beltane sono anche le danze o le corse nei labirinti.
Spirali e labirinti sono simboli antichissimi, che si vedono incisi e scolpiti in molti monumenti sepolcrali preistorici. La famosa triplice spirale di Newgrange potrebbe simboleggiare la natura ciclica di morte e rinascita. Molte usanze più tarde, espresse dai labirinti tagliati nel prato o costruiti con siepi possono avere avuto un significato di fertilità, ove le danze rituali attraverso i labirinti stavano a indicare la rinascita della vita a primavera. La stessa danza intorno al palo di maggio ha un andamento a spirale.
Il periodo del primo maggio era un momento sacro anche in altre tradizioni pagane europee. Nell’antica Roma il 1° maggio era la festa di Flora, protettrice delle piante in fiore. Le sue feste impudiche e gioiose come quelle di Beltane, comprendevano cacce incruente ad animali mansueti, offerti in premio alle cortigiane vincitrici di scherzose gare di corse e combattimenti.
Durante i Floralia ci si vestiva con abiti multicolori ad imitazione dei fiori. La notte del primo maggio era sacra a Bona Dea, ai cui misteri non erano ammessi gli uomini, mentre il giorno dopo si celebrava Maia, sposa di Vulcano che dava il nome al mese. Bona Dea era forse Fauna, signora delle selve probabilmente collegata ad Angitia, dea dei Marsi, e come questa patrona dei serpenti. Il serpente, occorre ricordare, è un altro simbolo della vita che si rinnova e rappresenta anche il potere fecondante del Dio (l’esclusione degli uomini significava forse questo: l’unica energia maschile ammessa era quella del Dio e nessun mortale poteva soppiantarla). Così da un capo all’altro d’Europa e per tutta l’antichità e il Medio Evo, un simbolismo comune dominava questo periodo dell’anno: giochi e feste che celebrano il ritorno della primavera e della fertilità.



Pianta sacra di Beltane è il biancospino, la cui fioritura rappresentava per i Celti l’inizio della festa. È pianta della Dea, come la quercia è l’albero del Dio. Si dice infatti che il suo profumo ricordi quello della sessualità femminile. Inoltre è anche una pianta legata all’Altro Mondo, associata alle fate. Piante di biancospino che crescono solitarie su una collina o vicino ad una sorgente sono ritenute segnali del regno delle fate. Gli esseri fatati abitano nelle piante di biancospino. Il tabù sulla raccolta di questa pianta viene sospeso a Beltane, quando può essere raccolto per la festa o per essere portato in casa (analogamente al tabù sulla caccia alla lepre in primavera).
Così la rugiada raccolta dai rami di biancospino è a Beltane benefica e indicata per le ragazze che vogliano conservare la loro bellezza.

Da: Feste pagane di Roberto Fattore

lunedì 25 aprile 2011

La separazione da Avalon


“Ecco la ragione della nostra visita”, ribatté Merlino.  “Come i druidi sanno, è la fede dell’umanità a plasmare il mondo e la realtà. Molto tempo fa, quando i seguaci di Cristo giunsero sulla nostra isola, compresi che era un momento decisivo.”
Morgause lo guardò sbalordita. “Sei così vecchio, Venerabile?”
Merlino le sorrise. “Non in questo corpo. Ma ho letto molto nel grande palazzo che non appartiene a questo mondo, dove stanno le Cronache di Tutte le Cose. E vivevo allora. I Signori di questo mondo mi hanno permesso di ritornare, in un altro corpo.”
“Il Venerabile Padre intende dire”, spiegò Viviana, “che viveva quando vennero qui i cristiani e che ottenne di reincarnarsi subito per proseguire la sua opera. Sono Misteri, e non è necessario che tu capisca, Morgause. Continua, Padre.”
“Sapevo che era uno di quei momenti in cui cambia la storia dell’umanità”, disse Merlino. “I cristiani cercano di cancellare ogni sapere che non sia il loro. Hanno proclamato eresia il credere che gli uomini vivano più d’una vita…”
“Ma se gli uomini non credono in più d’una vita”, protestò Igraine, sconvolta, “come sfuggiranno alla disperazione?”
“Non so”, disse Merlino. “Forse i cristiani vogliono che gli uomini disperino del destino perché si prosternino davanti al Cristo che li condurrà in paradiso.  Ma, qualunque cosa credano, le loro convinzioni stanno alterando il mondo, non soltanto nello spirito ma anche sul piano materiale. Negano il mondo dello spirito e i regni di Avalon, e per loro cessano di esistere. Esistono tuttora, naturalmente; ma non nello stesso mondo dei seguaci di Cristo. Avalon, l’Isola Sacra, non è più la stessa Glastonbury dove noi della Vecchia Fede permettemmo ai monaci di costruire la cappella e il monastero. Perché il nostro sapere e il loro sapere… Guarda, Igraine.” Si tolse la collana d’oro e sguainò il pugnale. “Posso mettere questo bronzo e quest’oro nello stesso luogo simultaneamente?”
Igraine batté le palpebre, senza capire. “No, certo. Possono stare vicini, ma non nello stesso luogo.”
“È quel che avviene per l’Isola Sacra”, disse Merlino. “Quattrocento anni fa, prima che venissero i Romani, i preti giurarono che non sarebbero mai insorti contro di noi, perché eravamo qui prima di loro, ed essi erano supplici e deboli. Devo ammettere che hanno mantenuto la promessa. Ma nelle preghiere non hanno mai smesso di lottare contro di noi per il loro Dio e per scacciare i nostri Dei. Nel nostro mondo, Igraine, vi è spazio per molti Dei e molte Dee. Ma nell’universo dei cristiani non c’è posto per il nostro sapere: vi è un Dio solo, e non vi sono mai stati altri Dei se non falsi idoli, opera del loro diavolo. Ecco ciò che credono: e il mondo diviene ciò che credono gli uomini. Perciò i mondi che un tempo erano una cosa sola si stanno separando.
“Ora vi sono due Britannie, Igraine: il loro mondo, dominato da un unico Dio e da Cristo; e accanto a esso il mondo dove regna anche la Gran Madre e dove il Vecchio Popolo vive e adora. È già accaduto in passato. Vi fu un tempo in cui gli esseri fatali, gli Splendenti, si ritirarono dal nostro mondo per addentrarsi nelle nebbie; e solo ogni tanto, ora, un viandante può passare una notte nelle colline degli elfi mentre il tempo trascorre senza di lui, e dopo quell’unica notte, quando ne esce, scopre che sono trascorse decine di anni. Ora tutto ciò si sta ripetendo. Il nostro mondo, governato dalla Dea e dal suo Consorte, viene allontanato dal corso principale del tempo. Già ora, se un viaggiatore parte senza guida per l’Isola di Avalon, se non conosce bene la via, giunge invece all’Isola dei Preti. Per la maggioranza degli uomini, ora il nostro mondo è perduto tra le nebbie del Mare dell’Estate, sempre più lontano.  Perciò abbiamo impiegato tanto tempo per giungere fin qui. I mondi si toccano ancora; ma si stanno separando e, se questo non avrà fine, un giorno si staccheranno e nessuno potrà andare e venire…”

Da: Le Nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley


Le porte tra i mondi


PARLA MORGANA: Il mondo è mutato. Un tempo, un viaggiatore, se aveva la volontà e conosceva qualche segreto, poteva avventurarsi con la barca nel Mare dell’Estate e giungere non già a Glastonbury dei monaci, ma all’Isola Sacra di Avalon; allora le porte tra i mondi fluttuavano con la nebbia e si aprivano al volere del viaggiatore. Perché questo è il grande segreto, noto a tutti gli uomini colti del nostro tempo: con il nostro pensiero, noi creiamo giorno per giorno il mondo che ci circonda.
Ora i preti, pensando che questo usurpi la potenza del loro Dio, hanno chiuso le porte (che non furono mai porte se non nelle menti degli uomini) e il percorso conduce soltanto alla loro Isola. E affermano che quel mondo, se esiste, è il dominio di Satana, la porta dell’Inferno

Da: Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley

mercoledì 20 aprile 2011

Saggezza indiana

Ho bisogno di Te (Native American ~ Spiritual Music) Lay o Lay Ale Loya


Una strada con un cuore


DON JUAN: «Per me c'è solo il viaggio su strade che hanno un cuore, qualsiasi strada abbia un cuore. Là io viaggio, e l'unica sfida che valga è attraversarla in tutta la sua lunghezza. Là io viaggio guardando, guardando, senza fiato.»

«Tutto è solo una strada tra tantissime possibili. Devi sempre tenere a mente che una strada è solo una strada; se senti che non dovresti seguirla, non devi restare con essa a nessuna condizione. Per raggiungere una chiarezza del genere devi condurre una vita disciplinata. Solo allora saprai che qualsiasi strada è solo una strada e che non c'è nessun affronto, a se stessi o agli altri, nel lasciarla andare se questo è ciò che il tuo cuore ti dice di fare. Ma il tuo desiderio di insistere sulla strada o di abbandonarla deve essere libero dalla paura o dall'ambizione.»

«Ti avverto. Guarda ogni strada attentamente e deliberatamente. Mettila alla prova tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda. Questa è una domanda posta solo da un uomo molto vecchio. Il mio benefattore me l'ha detta una volta quando ero giovane, e il mio sangue era troppo vigoroso perché la comprendessi. Ora la comprendo. Ti dirò che cosa è: "Questa strada ha un cuore?" Tutte le strade sono uguali; non portano da alcuna parte. Sono strade che passano attraverso la boscaglia o che vanno nella boscaglia. Nella mia vita posso dire di aver percorso strade lunghe, molto lunghe, ma io non sono da nessuna parte. La domanda del mio benefattore ha adesso un significato."Questa strada ha un cuore? Se lo ha la strada è buona. Se non lo ha non serve a niente. Entrambe le strade non portano da alcuna parte, ma una ha un cuore e l'altra no. Una porta un viaggio lieto; finché la segui sei una sola cosa con essa. L'altra ti farà maledire la tua vita. Una ti rende forte; l'altra ti indebolisce.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come si fa a sapere quando un sentiero non ha un cuore, don Juan?»

DON JUAN: «Prima di inoltrarti in esso poniti la seguente domanda: "Questa strada ha un cuore?" Se la risposta è no, lo saprai, e allora dovrai scegliere un altro sentiero.»

CARLOS CASTANEDA: «Ma come faccio a capirlo?»

DON JUAN: «È una cosa che si sente. Il problema è che nessuno si pone questa domanda, e quando un uomo si accorge di aver intrapreso una strada senza cuore, essa è pronta per ucciderlo. Arrivati a quel punto, sono pochi quelli che si fermano a riflettere e abbandonano la strada.»

CARLOS CASTANEDA: «Cosa devo fare per formulare la domanda nel modo giusto, don Juan?»

DON JUAN: «Fallo e basta.»

C
ARLOS CASTANEDA: «Quello che vorrei sapere è se esiste un metodo per non mentire a se stessi credendo che la risposta sia positiva quando in realtà non lo è.»

DON JUAN: «Perché dovresti mentire?»

CARLOS CASTANEDA: «Forse perché in quel momento la strada sembra piacevole e divertente.»

DON JUAN: «Sciocchezze. Una strada senza cuore non è mai piacevole. Devi lavorare duramente anche per intraprenderla. D'altra parte è facile seguire una strada che ha un cuore, perché amarla non ti costa fatica.»

Da: Gli Insegnamenti di don Juan e A Scuola dallo Stregone di Carlos Castaneda

Semifreddo al caffè e al latte condensato


Un dolce perfetto per Imbolc, ma non solo:

Ingredienti per 4 persone:
500 ml di panna fresca
2 tuorli
170 gr. di latte condensato
4 cucchiai di caffè liofilizzato
cacao amaro in polvere q.b.

Procedimento:
Montare la panna fresca a neve in una grande ciotola.
In un’altra unire i tuorli con il latte condensato e amalgamarli utilizzando la frusta.
In un bicchiere mescolare 4 cucchiai di panna fresca con altrettanti di caffè liofilizzato.
Unire la crema di caffè al composto di uova e latte condensato continuando a mescolare con la frusta.
Unire tutta la panna montata mescolando dal basso verso l'alto con un cucchiaio.
Versare il tutto in uno stampo da plum cake e far riposare in freezer per una decina di ore.
Tagliare a fette e servire con una spolverata di cacao in polvere

Ricetta di Cotto e mangiato di Benedetta Parodi

lunedì 18 aprile 2011

Primavera, Viriditas, Mercurio (vado da sempre pazza per il colore verde)


Nell'aria irradiata dal Sole della primavera si avverte l'influsso sottile di una grande divinità, quella che gli antichi chiamavano Mercurio, lo spirito dell'aria. In alchimia il processo mercuriale si produce quando gli elementi dell'aria e dell'acqua si mescolano: in primavera, quando l'aria si riscalda e le acque più intensamente evaporano per poi discendere come pioggia sulla terra, il turbinio degli elementi manifesta la potenza del dio.
Nel cosmo la terra appare azzurra come una gigantesca goccia d'acqua e l'azzurro dell'acqua esprime appunto l'effetto dell'influsso mercuriale.
Mercurio è una divinità particolarmente vicina agli uomini, egli non ha smesso di comunicare ad essi le sue verità segrete anche dopo il declino della civiltà antica. Per questo i saggi del Rinascimento lo invocavano come Ermete Trismegisto: Hermes il tre volte grande. In particolare Mercurio insegna agli uomini l'arte della guarigione e il simbolo di Mercurio, la verga dorata intorno alla quale si intrecciano i due serpenti, è il simbolo più appropriato per coloro che recano sollievo ai malati con i rimedi della medicina.
Raffaele, il cui nome significa Dio guaritore, dimora nella sfera di Mercurio dove trasmuta la forza divina, al fine di farla diventare curativa. Infatti, il caduceo di Mercurio è, da sempre, il simbolo della medicina. Raffaele è l'Arcangelo della crescita e della rigenerazione, ed aiuta la vegetazione a rinascere dopo la semina dell'autunno ed il riposo dell'inverno.
Nel nostro tempo un compito particolare si pone per coloro che vogliono farsi seguaci di Mercurio: la conciliazione tra la medicina moderna, figlia della scienza sperimentale, e la medicina dello spirito. Queste due branche devono essere unificate, senza che l'una disprezzi l'altra o l'altra ignori l'una.
La salute fisica e la salute spirituale debbono essere considerate come due aspetti della stessa realtà: la purificazione dell'anima e il benessere del corpo sono entrambi necessari affinché lo spirito che è incarnato in ogni uomo possa compiere con energia la propria missione di vita. 
La primavera è la stagione di Mercurio. Quando l'aria si fa dolce e profumata il dio fa fluire le sue forze nella natura. Per questo è tanto importante la vita all'aria aperta, a contatto con la natura, l'escursione in quei luoghi sacri che sono i boschi, nei quali ritroviamo il contatto con la nostra origine. Chi tende l'orecchio alla natura trae ispirazione per comprendere le virtù terapeutiche delle piante, delle sostanze, delle giuste abitudini.




Mentre l'uomo cammina, marcia, avanza sulle proprie gambe una corrente sale dalle profondità della terra e va a corroborare la sua volontà. Per quanto provenga dal grembo della terra essa è una corrente di tipo luminoso e solare, percepibile con particolare intensità appunto nella stagione di primavera.
 
Nel cielo della primavera si libra in alto la figura di Mercurio, col suo sguardo riflessivo, con in mano la verga attorno alla quale guizzano le correnti serpentine. 
Allora i grandi elementi cominciano a mescolarsi e a fondersi tra di loro: l'acqua si surriscalda e sale verso l'alto nella regione dell'aria, i venti primaverili spingono le piogge a ricadere sulla terra. I quattro elementi formano tra di loro un circolo: un grande serpente di fuoco che roteando genera l'energia nel cuore segreto della natura. 
Gli Etruschi chiamavano Turms il loro Mercurio, il nume che mescola di continuo gli elementi. Mercurio è appunto il dio delle metamorfosi. La maschera del nume manifesta la forza arcana della
 
natura che muovendo in eterno circolo gli elementi rinnova la vita. L'uomo stesso deve partecipare con la propria coscienza al movimento della vita.
Senza un collegamento fra Sole e Luna l’uomo non potrebbe esistere; ed è Mercurio questo ponte, il filtro, l’alchimista della forza e del sentimento. Questo pianeta regge il cervello e il sistema nervoso, è la chiave di volta della vita di un essere e ci indica la sua potenzialità intellettiva e come verrà espressa; è il fattore della nostra evoluzione.
È attraverso di lui e per lui, che il pensiero umano assume l’aspetto fantastico, poetico, materialista o pratico, morale o amorale, onesto o disonesto, leale o sleale, equilibrato o squilibrato.
È Mercurio che ci differenzia gli uni dagli altri, che ci rende coscienti, avidi di conoscenza o ignoranti. La cultura, il buon senso, il senso pratico, la scrittura, la parola, la logica, e soprattutto il nostro equilibrio sono governati da questo piccolo mobilissimo pianeta, al punto che la sua distanza dal Sole ci indicherà le potenzialità del singolo. Mercurio è un ponte fra spirito e materia, è la ragione nel senso più alto del termine. Governa nell’uomo l’età che va dai 5 ai 14 anni. Governa anche le spalle, le braccia, i riflessi nervosi, i polmoni, la deambulazione, la laringe e la lingua. 
Il principio mercuriale è considerato in alchimia l’ente solvente primario. Femmineo, umido, pervasivo, è associato agli elementi acqua, aria, e all’azione lunare. Nell’alchimia cinese è raffigurato da un Drago Verde che esprime (in assonanza con l’alchimia occidentale) il principio originario dello Yin.




In altre tradizioni spirituali, il verde è il colore associato alla dea dell’Amore, Venere, all’energia femminile del Cuore, portatrice di guarigione.
Con il termine di Viriditas  (Opera al Verde) si può identificare il periodo in cui sbocciano le gemme primaverili, è la fase dell’Opera in cui ci troviamo a fronteggiare i nostri nemici interiori. E ciò va fatto con estrema accortezza. È il periodo che segue quello della Nigredo, la morte apparente degli alberi in inverno e precede l’Albedo della fioritura, la Citrinitas dell’ingiallimento estivo dovuto al calore e alla secchezza, e infine la Rubedo, caratterizzata dall’infiammarsi dei colori autunnali.
La qualità cabalistica assimilata al verde, la sephirah Netzach, esprime la Fermezza Divina, la sua Vittoria.
Questa sephirah, associata all’emisfero destro del cervello, ed all’uso induttivo, creativo, ideativo del pensiero, presiede infatti un “movimento” individuativo simile, nell’azione, ad una freccia (Tzein, lettera ebraica corrispondente) scagliata verso un obiettivo da cogliere. Tale configurazione determina l’origine concettuale, l’input, la “partenza” iniziale del pensiero, ma pure la sua, anche se apparentemente inconoscibile, destinazione finale. È la pulsione intellettiva che si lancia verso una precisa ideazione formale, la cerca, la “corteggia” ed infine, la coglie. Con questa sephirah si ottiene quindi la nemesi dell’idea e dello slancio creativo, proprio della “bellezza” e dell’”amore” rappresentato da Venere, simbolo mitologico e planetario ad essa collegato.
Va inoltre notato come, nell’Albero della Vita, la sephirah Netzach si trovi esattamente contrapposta alla “qualità” di Hod  (archetipo dell’arancione).
Ciò è determinato dal fatto che, mentre nell’arancione l’espressione intellettiva (archetipo del giallo, Tipheret) veniva ricondotto, grazie alla pulsione scansionante del rosso, ad una consequenzialità logica, analitica, nel verde (Netzach), invece la stessa parte “gialla” coniugandosi con la “spazialità” interiore condotta dall’azzurro, diventa “forma” espressiva, immaginazione.
Immaginazione che rileveremo anche nell’azzurro, ma che qui, essendo unificata al giallo, esprime una qualificazione precisa, in creatività intellettiva.



Se cercheremo di possedere l’impossedibile, la “tinta”dell’amore (un verde chiaro, fresco, luminoso, pari al colore di un germoglio desideroso di crescita) muterà, diventando un verde “marcio”, fangoso.
Nel sufismo iraniano si fa coincidere al verde splendente, il centro divino del tuo essere, la completezza della perla.
Questo verde splendente, simile al colore dello smeraldo più puro, non è formato dal giallo e dall’azzurro saturi, ma invece dall’oro purissimo di un Io nobilitato (reintegrato con la propria parte spirituale) e dal blu profondo di una vera conoscenza dei principi divini.
È il colore sacro all’Islam, colore del Profeta, Mohammad, per tradizione, attribuito ad Abramo, il quale, come padre di Ismaele (avuto con l’egiziana Agar) è considerato dagli Arabi il loro progenitore. Simbolo di salvezza (dovuta al Profeta) ma simbolo anche, per un popolo che vive nel deserto, della “ricchezza” donata dalla vegetazione. Ricordiamo inoltre che nella visione mistica si fa coincidere alla luce verde l’ambito del Malakut, o mondo dell’anima.
È anche il colore dell’Uomo Verde, leggendario, dei nomadi del deserto.
I sufi dicono che quell’essere prodigioso, chiamato Al Khadir, rappresenta la “provvidenza divina”, ed assiste l’uomo nelle sue lotte, proteggendolo da determinati “pericoli”.
Lo aiuta contro l’annegamento (dei moti emozionali), l’incendio (degli eccessi pulsionali), il potere del re (di un dominio incontrollabile dell’Io), i serpenti (delle illusioni coscienziali) e gli scorpioni (della distruttività esterna ed interna, il veleno).
Lo scatenamento del nostro Verde Dragone non è cosa da poco: la sua “forza” naturale è immensa, ed il suo movimento, rotatorio, pare non trovare soluzione di continuità.
Così anche i nostri moti emozionali, i nostri desideri più inconfessabili, le nostre emozioni più terribili, una volta messi in “movimento” sembrano non trovare più sosta nel loro incessante vorticare.



Questo dragone, di un verde opaco, “velenoso”, oscuro, sfuggente simile al colore della “pelle” del Diavolo e del serpente biblico, nello strenuo tentativo di opporsi al “regno” dello spirito, ci conduce sempre nuove tentazioni, sempre nuovi “richiami” oggettivanti; oppure, ed è la cosa più nefasta, ci dona l’illusoria convinzione di conoscenza.
Ma, come nella rappresentazione iconografica cristiana, a questo punto la vera conoscenza, la consapevolezza “ispirata” rappresentata dalla Vergine (la Sophia, la Shekhinah Celeste) deve prendere il sopravvento sulla falsa conoscenza, “calpestando”, sotto il proprio piede, il “serpente” che l’ha indotta.
Così nella Viriditas, aiutati da quel “Fuoco Segreto” di splendente luce smeraldina (archetipo del verde) dovremo, con fermezza e costanza, operare verso un riconoscimento di “pochezza” delle illusioni egoiche e poi, liberatici dai loro condizionamenti (grazie al solvente mercuriale), saremo finalmente in grado di calpestarle, cioè di ricondurle al loro regno (inferiore) di appartenenza.
L’avvenuta “vittoria” trasmutativa è segno di saggezza.
Dimensione coscienziale, in  rinnovamento continuo, evolutivo, che estende continuamente il proprio obiettivo d’azione senza mai compiacersi dei traguardi relativi raggiunti. Identificarsi infatti sull’illusorio potere conoscitivo mano mano ottenuto è cosa demoniaca, foriera di protervia orgogliosa, lesiva e nemica, per natura, dell’evoluzione spirituale.
Racconta il mito che Lucifero, l’angelo più bello e più sapiente di tutti, tradito il proprio compito, perse, nell’atto della caduta, la meravigliosa gemma di smeraldo che gli adornava la fronte; essa finì nelle acque dell’Oceano Primordiale che, da allora, divenne la sede della Sapienza Sacra, Universale.
Di questa pietra, portatrice di conoscenza, è fatto, secondo alcune tradizioni, il vaso (o coppa) del Graal, al cui interno il Santo Sangue del sacrificio redentivo del Cristo si fa Luce di amore conoscitivo. Ci troviamo di fronte, così, all’ambivalenza dei due complementari: verde e rosso. Benigna se voluta, vissuta con pienezza, ma estremamente negativa se ricondotta ad atteggiamenti belligeranti di una componente rispetto all’altra.
Se il nostro “rosso” combatterà contro il nostro “verde” la spinta individualistica, egoica, travalicherà i limiti naturali e, credendoci onnipotenti, bloccheremo la nostra evoluzione su posizioni accentrative, egoistiche, tese al dominio sugli altri e sulla natura manifestata.
Se invece sarà il verde ad “ergersi” contro il rosso entreremo in uno stato ossessivo, dove il troppo controllo su passioni e desideri ci renderà rigidi, duri, freddi, giudicanti.
Stretti nelle spire del serpente, crederemo così che l’unica misura della vita sia la “difesa” da essa.
Quanto saremo lontani, allora, da quella partecipazione naturale, armonica, colma di gratitudine per la bellezza manifestativa che ci rende, davvero, i suoi enti trasmutatori coscienziali.




Compito reintegrativo che, proprio nella Tavola di Smeraldo, attribuita ad Ermete Trismegisto, trova espressione degna, esemplificando come la vera Grande Opera non sia tesa al raggiungimento dell’oro materiale, bensì al compimento dell’oro filosofale, espressione dell’avvenuta trasmutazione spirituale nella manifestazione tangibile.
Noi siamo parte integrante della Natura ed anche in qualche misura, artefici. Non tutto ciò che ci circonda e ci sostiene in vita è necessariamente, dovuto; la Provvidenza Divina ha bisogno, per agire pienamente, anche di noi.
Lo smeraldo, pietra preziosa mercuriale, stimola la crescita interiore, la sensibilità ed il senso estetico, nonché, il desiderio di pace e d'armonia. Promuove la perseveranza e la gioia di vivere. Favorisce l'amicizia, l'amore e la concordia nella coppia. Mantiene giovani d'animo. Aiuta a superare i momenti difficili. Genera ottimismo e vitalità. Spinge il soggetto a vivere più intensamente la propria vita. Le piante mercuriali sono il timo per le persone che manifestano debolezza nei sistemi di difesa (il timo aiuta ad erigere le barriere immunitarie anche in senso psichico) e la menta che può aiutare le persone che non riescono ad "entrare nei panni degli altri" per il timore di perdere la “propria identità”. Sia lo smeraldo che le piante mercuriali sono usati in preparazioni spagiriche che curano disturbi fisici e psichici.


Nei suoi studi sull’alchimia, Carl G. Jung, vede nella fase alchemica Viriditas una rappresentazione del nostro Sé o Anima, che ha la funzione psicologica di liberare l’Io, rinchiuso nel carcere della sua solitudine, morto e sepolto nella tomba del suo egocentrismo (Nigredo o Opera al Nero), per armonizzarlo poi in una relazione ricca e consapevole con il proprio mondo affettivo, con il mondo affettivo altrui, con la vita (Rubedo o Opera al Rosso).
In tutta l’opera di Santa Ildegarda
di Bingen, la Viriditas ha una rilevanza straordinaria. Oltre a designare il colore della Natura, ella lo associa soprattutto alla sua energia, alla forza vitale (vis, vir in latino) immessa in tutta la creazione dal soffio divino. Tale forza si esprime non solo nel verde della vegetazione ma è riconoscibile a tutti i livelli, fisici e spirituali del creato, comunque si manifesti. Essa è presente anche nell’anima dell’uomo, poiché è il principio della vita e del movimento.
Viriditas riassume quindi la nozione universale di salute, di prosperità e di bellezza.






O viriditas nobilissima, che hai radici nel sole,
e in candida serenità riluci
nella ruota
che nessuna altezza terrena
contiene,
tu sei circondata dall’amplesso dei divini misteri.
Risplendi come la rossa aurora
E ardi come la fiamma del sole


(Ildegarda di Bingen - Lied 39 )