giovedì 15 novembre 2012

Il tesoro nascosto



Nel regno del bosco i folletti condividono la loro esistenza con altre entità che sfuggono per definizione alla vista dell’uomo: gnomi, elfi, nani, nanetti e le fate, loro fedeli compagne. Con questi i folletti occupano lo spazio dell’oscuro, dei boschi, delle miniere, delle grotte, più vicino alla forza ctonia della natura che alle grandi manifestazioni di potenza cui sono associate solitamente le figure dei giganti.
Traendo frutti dalle viscere della terra, i folletti hanno rivestito, nella mitologia popolare europea, il ruolo di eroe culturale, cioè di mitica figura cui si dovrebbe la rivelazione di importanti segreti necessari allo sviluppo della civiltà. Tra questi il segreto delle pietre nascoste sottoterra e, quindi, delle miniere e della metallurgia e, per estensione, di tesori che le fiabe vogliono religiosamente custoditi proprio da gnomi e folletti.
Qui, come protettori di tesori, la loro medietà costituisce una virtù: mezzi uomini (ma non sotto-uomini), possono arrivare ovunque, lavorare indefessi nel sottosuolo in condizioni spaventose, comunicare con la natura nella sua intimità più profonda. Nelle grandi saghe mitologiche, quindi, i folletti  conservano la funzione di nume tutelare per i minatori, come in Bretagna, e in generale presiedono all’attività delle fucine di ferro di cui, un tempo, avrebbero insegnato agli uomini tutti i segreti.
Non v’è traccia di tale credenza in Lombardia nonostante l’antichità dell’attività estrattiva e della lavorazione del ferro, che tuttavia si è tramandata per trasmissione generazionale solo per stadi discontinui dall’antichità precristiana a oggi. Troppo poco soccorre una ricerca toponomastica che non ha ancora dato i frutti sperati.
Nella tradizione di Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa, ad esempio, si rinvengono ancora folletti che vivono e scavano nelle miniere. Sono i cosiddetti goewling; è suggestivo trovare a Pisogne (Brescia) il toponimo Goen riferito alla contrada dove sorgevano l’alto forno e le fucine del ferro e che, come conclude una guida dell’Ottocento, “rammenta il gowan scozzese, che vale fabbro, e ci porta a tempi molto antichi, per lo meno Longobardi”. Il nome è simile anche a quello di Govannon, il dio fabbro gallese, figlio della dea Don e fratello di Gwydion e Amaethon, che a sua volta era l’equivalente del dio fabbro irlandese Goibniu, figlio della dea Danu, il quale forgiava spade che penetravano sempre con precisione e possedeva l’idromele della vita eterna. Da abile fermentatore fu insuperabile e la sua birra conferiva l’immortalità. Era uno dei tre artigiani dei Tuatha De Danann,, insieme al falegname e carpentiere Luchta e al calderaio Creidhne, dio della lavorazione dei metalli. In realtà Góvine, come la località è indicata nel Dizionario di toponomastica lombarda dell’Oliveri, dialettale Góven, si trova presso una cascatella e deriva da cúen, da cui caverna e Covelo, che è un toponimo presente nei pressi di Iseo. Niente di contradditorio: i folletti prenderebbero nome dalla caratteristica propria di stare nelle viscere della terra e, da qui, cavare ferro, come a Macugnaga.
Un rapporto stretto legava la forgia del metallo con le forze ctonie e soprannaturali: il fabbro (non a caso”uomo nero”, isolato nella mitologia collettiva dal gruppo) era il depositario di misteriosi rituali che demoni e spiriti gli suggerivano per svelare i segreti delle pietre, per trarne il ferro. Il fabbro, quindi, continuava un’opera di creazione che reiterava l’atto stesso che presiedeva alla nascita del mondo; egli riproduceva sulla terra ciò che era attributo di entità non umane, degli dèi.
Lo strumento creato dalla fusione del metallo era dunque implicitamente uno strumento magico di esercizio del potere. Come tale il ferro stesso possedeva un carattere ambivalente e poteva impersonare anche lo spirito del demone che ha presieduto alla stessa creazione del ferro, dalla miniera alla fucina. Il ferro, quindi, si presentava come strumento del male e del bene: era il materiale con cui si costruivano le armi, ma anche il martello e buona parte degli attrezzi che aiutavano nella vita quotidiana e nel lavoro dei campi. Mircea Eliade, concludendo un ragionamento molto più complesso, asseriva che il ferro, sia che lo si ritenga caduto dalla volta celeste, sia che venga estratto dalle viscere della terra, è carico di potenza sacra. Il rispetto nei confronti del metallo permane anche presso popolazioni di cultura avanzata. Tale è il prestigio dell’ultima in ordine di tempo tra le “età del metallo”, l’età del ferro vittorioso la cui mitologia, in gran parte sotterranea, sopravvive ancora in costumi, tabù e superstizioni quasi sempre insospettabili. Rappresenta la vittoria della civiltà, cioè l’agricoltura.
Contro le tempeste si suonavano le campane. L’usanza era ancora viva nel Novecento nelle campagne di Brescia. Si trattava di una delle più note pratiche magiche in funzione apotropaica.
Il valore del gesto non stava nel suono, ma nel materiale della calotta e del batacchio: il ferro, appunto. Il ferro e il metallo in generale, infatti, erano sempre stati riconosciuti come mezzo essenziale per allontanare gli spiriti maligni. La donnola, in Valsassina (Lecco), la cui manifestazione era considerata presagio di pioggia, si scacciava con la semplice esposizione di attrezzi da lavoro (forconi, rastrelli, falcetti), rimedio che serviva anche contro qualche folletto di troppo.
“Toccare ferro” scaccia ancora adesso la sfortuna.
Tarda è la versione leggendaria del Maget che in Valtellina occulterebbe l’oro che trova nelle miniere per non farlo scoprire ai minatori. Abilissimo minatore, una volta estratto questo prezioso metallo con l’aiuto dei suoi validi amici lo nasconderebbe in luoghi sicuri e irraggiungibili dall’uomo, che giudica troppo avido per meritarsi questi tesori della natura. Queste creature sarebbero anche in grado di scatenare pericolose valanghe causando ingenti danni; ma non sono malvagie. Infatti, anche in queste occasioni, cercherebbero di evitare che questi disastri facciano vittime tra gli esseri umani

Da: Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti e irrisolti di Federico Crimi e Giulio M. Facchetti

2 commenti:

  1. Ho appena aperto un forum, spero verrai a condividere il tuo grande sapere =), ecco il link http://ilcamminodeinovizi.forumfree.it/. Magari se puoi fammi un pò di pubblicità =)

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  2. Verrò volentieri il più spesso possibile, anche se non prometto assiduità, viste le molte cose sacre e profane che devo fare, inoltre il Cammino di Avalon che seguo richiede dedizione e impegno... in quanto al mio grande sapere, ihihihih! leggendo il tuo blog sei tu che ne sei provvisto davvero in abbondanza :-)
    Ti farò anche pubblicità, promesso

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