sabato 5 gennaio 2013

Babbo Natale – il dio Odino-Wotan


Se J. R. R. Tolkien dà a Babbo Natale un fratello verde e un nonno Jul, in realtà non sappiamo nulla della famiglia e del passato del personaggio. Può dunque sembrare paradossale parlare di antenati di Babbo Natale. Benché Van Gennep si rifiuti di vedere una filiazione san Nicola-Babbo Natale e, a maggior ragione, di attribuire a quest’ultimo antenati lontani, bisogna arrendersi all’evidenza: è nel più remoto passato culturale -religioso che si ritroveranno le origini del vegliardo rosso. Le funzioni fondamentali di Babbo Natale furono anche quelle di molti suoi predecessori, ma di solito non simultaneamente, a differenza del nostro personaggio contemporaneo. Dobbiamo menzionarle qui sul piano più direttamente funzionale, per andare incontro ai diversi personaggi. Sono le funzioni di distributore di regali, giustiziere, re, aiuto per superare il solstizio (iniziatore, in altri termini), sciamano. Citeremo qui principalmente tre personaggi che ci permetteranno di declinare tre tipologie «natalizie»: il dio germanico Odino-Wotan (dimensione divina di Babbo Natale), il druido-prete Merlino (dimensione sacerdotale di Babbo Natale), il signore del disordine medievale (Babbo Natale, signore del paradosso). Ma i tre sono strettamente interrelati, lo vedremo: c’è dell’Odino-Wotan in Merlino e tutti questi personaggi sono dei signori del paradosso (il paradosso di Odino è addirittura uno dei tratti caratterizzanti della tradizione nordica antica).

Il dio Odino-Wotan

Con Odino-Wotan, affrontiamo l’aspetto divino archetipico di Babbo Natale. Emergendo dalla notte invernale sulla sua slitta trainata dalle renne, con le campanelle tintinnanti, Babbo Natale rinvia a un’immagine della caccia selvaggia delle antiche notti di Jul. Il condottiero di questo corteo è il grande dio della tradizione nordica Odino-Wotan. La radice etimologica del suo nome, Od (VN)/Wut (Gmq), traduce un’idea di «furore estatico, possessione» (vedi il VA, wuthered, «stregato», il gotico wôds,
«posseduto»). È dunque il dio dell’estasi, della trascendenza iniziatica, ma anche della poesia e, logicamente, della magia. Ancora più interessante dal nostro punto di vista, Odino sarebbe un dio del «dono» e la runa (carattere del Nord dalla dimensione magico-culturale) associata a questa funzione sarebbe Gebo, anche abbreviazione dell’inglese Christmas, Xmas. Odino-Wotan è il signore delle rune, da cui ha ricevuto la conoscenza autosacrificandosi («dono» di sé) sull’albero del mondo Yggdrasill. Alcuni autori (Georges Dumézil, ad esempio), ipotizzano che il nome «runa» derivi da una radice indoeuropea (veicolante l’idea di «legame») che avrebbe formato ugualmente i nomi divini Varuna o Urano. Di questi ultimi, Marie-Christine Mottet dice che «gli dèi celesti urani sono gli antenati delle divinità di tutte le religioni. Sono creatori, buoni ed eterni (vecchi)». Questo rapido ritratto potrebbe essere applicato alla perfezione al nostro Babbo Natale senza età e creatore, con i suoi assistenti folletti, di svariati doni(fino ai doni supremi: la vita e la gioia). Si adatta a meraviglia a Odino, il cui soprannome è proprio il «vecchio». E Marie-Christine Mottet d’altronde aggiungeva:
Come un dio urano, Babbo Natale è increato ed eterno. Non esiste mito che racconti la sua nascita, che evochi le sue origini. Non è immortale perché scompare ogni anno e «muore» per ogni bambino dopo alcuni anni, ma è eterno perché ricompare a ogni Natale e rivive nel cuore delle nuove generazioni.
Ora, la tradizione nordica relativa a Odino è innanzitutto quella dell’Eterno Ritorno. Ogni anno, Jul annuncia il ritorno del sole. Gli dèi di questa spiritualità sono mortali. Il Ragnarök (il compimento del Destino delle Potenze, che alcuni hanno impropriamente tradotto con Crepuscolo degli dèi) verrà. Gli dèi moriranno. Ma, come insegna il testo sacro della Völuspa, rinasceranno e ritornerà un’Età dell’Oro in cui ritroveranno le tavolette dorate contenenti i misteri antichi. Inoltre, accanto alle funzioni più marziali, Odino-Wotan è il dio della Gioia. Mentre noi lo chiamiamo con il suo doppio nome scandinavo (Odino) e germanico(Wotan presso gli antichi Germani e Woden presso gli Anglosassoni), anticamente era chiamato Wotanaz. L’iniziale di questo nome è la runa
Wenn, che significa la «gioia». Odino-Wotan è una divinità sciamanica. È intimamente legato all’albero del mondo, Yggdrasill (l’albero di Natale ne sarà una rappresentazione). Questo nome si traduce con «destriero di Ygg». Ora, Ygg il «temibile» è un soprannome di Odino. Questo destriero, dunque, non è altro che il cavallo magico a otto zampe Sleipnir, che conduce la caccia selvaggia e trasporta il dio da un mondo all’altro. Yggdrasill, l’albero del mondo, è un sentiero di iniziazione (impiccandosi a esso, Odino acquisisce la conoscenza delle rune). Ristabilendo la tradizione dell’albero di Natale - sempreverde (eterno ritorno) - accanto a Babbo Natale, il mondo moderno ha ricostituito l’antica coppia iniziatica Odino-Wotan/Yggdrasill. I corvi di Wotan, inoltre, Hugin, il «pensiero» e Munin, la «memoria», non sono forse un riflesso degli accompagnatori tenebrosi? Non riferiscono al dio le azioni e i gesti umani, stigmatizzando il cattivo comportamento dei monelli e tessendo le lodi della nobile condotta dei meritevoli? Non possiamo qui attardarci sulla ricca e complessa figura di Odino-Wotan. Taluni hanno voluto fare di Thor l’antenato di san Nicola e di Babbo Natale. Si trattava probabilmente di esegeti che mal conoscevano la tradizione nordica e si contentavano di citare l’unico dio di questa tradizione di loro conoscenza (si sa fino a che punto Thor, dio guerriero, ma anche dio dei contadini e dei servi della gleba, era - e resta - popolare). Almeno, avevano riconosciuto la filiazione nordica. I resti di san Nicola furono portati sul monte Gargano italiano, che prende il nome dal dio Gorgan.
Gorgan come Wotan (che era monocolo come il primo e «dalla coscia curva», quindi zoppo) sono stati identificati con Mercurio (dio dai piedi o dal casco alati, cosa che lo rende, in un certo senso, una creatura sciamanica). Ma soffermiamoci su una divinità anglosassone meno conosciuta, Herne il cacciatore. Parlando «in termini natalizi», Herne può apparire come una sintesi tra il personaggio di Odino-Wotan e quello del druido-sciamano Merlino. Questo dio è associato in particolare alla regione di Windsor (è menzionato, in particolare, in Le allegre comari di Windsor di Shakespeare). Questo personaggio tipico del folklore d’Oltremanica è un essere cornuto, associato alla quercia e al cervo. Associate al nome «Herne», queste caratteristiche ci fanno immediatamente pensare al Cernunnos celtico. Se questa filiazione tradisce una probabile origine antica del cacciatore di Windsor, la tradizione inglese lo conserva in una forma decisamente storicizzata. Ecco la sua storia, che commenteremo a mano a mano. All’epoca del re Riccardo II, Herne, eccellente cacciatore (pensiamo qui a Odino in qualità di Grande Cacciatore della caccia selvaggia) viveva nei boschi di Windsor in condizioni quasi selvagge (si tratta dunque di una manifestazione di uno spirito della natura, del Green Man, «Uomo Verde» tradizionale anglosassone, che il folklore ha conservato anche con il nome di Robin Hood, ad esempio). Regolarmente, il sovrano lo chiamava per andare a caccia, cosa che non mancava di suscitare gelosie in seno al seguito reale, offeso dai privilegi che venivano accordati a un pezzente. Peggio ancora, il sovrano gli aveva fatto dono di un corno da caccia, di una catena d’argento e di una borsa. Durante un giorno di caccia, un cervo carica il re e lo disarciona. Herne gli sbarra la strada, salva il re ma resta gravemente ferito. La corte del re - in particolare, i guardiacaccia del parco di Windsor - è esultante. Comunque sia, il re vuole salvarlo. Interviene allora uno sconosciuto di nome Urswick che salva Herne mettendogli in testa i palchi di un cervo. Le guardie del seguito reale non vogliono accettare la guarigione del cacciatore selvaggio. Urswick dichiara allora di poter privare Herne dei suoi doni se i guardiani promettono di fare la cosa che domanderà loro. Herne guarisce, ma non ha più alcun dono, tantomeno quello di cacciatore. Scappa, dunque, per andarsi a impiccare a una quercia (come Odino, dio degli impiccati, si impicca all’albero del mondo) in fondo al parco (la stessa quercia che si ritrova in Shakespeare e la cui memoria ancora perseguita Windsor). Un fulmine colpisce la quercia e anche le altre guardie perdono tutti i loro doni. Per ordine di Urswick si recano davanti alla quercia dove incontrano il fantasma cornuto di Herne che domanda loro di seguirli. La piccola schiera si ritrova dunque al cospetto di Urswick. Qui prestano giuramento direstare in eterno nell’orda di Herne. Formeranno dunque la caccia selvaggia. Il riferimento al re Riccardo II sembra datare Herne. Il racconto restituisce le caratteristiche di un personaggio antichissimo. Il dio cornuto è Cernunnos, è Pan (o ancora Fauno, Silvano, Priapo, Satiro, Bacco, Puck, Robin Gai-Luron, tutti spiriti della Natura). Ma sono anche tutti i danzatori sciamanici e carnevaleschi che, nel periodo di Jul/Anno Nuovo si vestivano di pelli di animali e indossavano delle corna(in particolare di cervidi) e che, ricordiamolo, Cesario di Arles e Teodoro di Canterbury denunciavano. Herne è stato anche trascritto Home (in inglese, Horn significa «corno». La c e la h sono intercambiabili negli antichi dialetti indoeuropei). In Danimarca, d’altronde, è noto un cacciatore mitico di nome Horn. Questo nome Horn, Herne, Cerne, Cam, è molto frequente nella toponimia ma bisogna notare che questa radice significava anche «pietra» o «gomito», come il gomito di un fiume, la cui forma può anche evocare le corna. Può essere interessante osservare che la città vicina a Externsteine, il grande santuario sassone in cui si ergeva l’Irminsul - immagine dell’albero del mondo la cui cima riproduce la forma delle corna - si chiama Horn. Bisogna sottolineare anche un altro punto: nella tradizione nordica, la prima coppia (Ask, letteralmente il «frassino» e Embla, letteralmente l’«olmo») nasce da due tronchi d’albero. Esiste una forte identificazione uomo/albero. Tradizionalmente, i palchi dei cervidi simboleggiavano le fronde degli alberi. Indossandole, l’uomo restituiva questa simbologia di identificazione vegetale che, inoltre, metteva in relazione l’uomo, come l’albero, con i tre regni: aereo/rami, terrestre/tronco, sotterraneo/radici. È una delle pratiche più antiche dell’Europa del Nord (come non pensare, d’altronde, al dio cornuto del paiolo danese di Gundestrup?). I più antichi palchi di cervo, scoperti in Gran Bretagna (a Starr Carr, Vale de Pickering, Yorkshire) e lavorati dall’uomo, risalgono a 10.000 anni fa, al mesolitico: si tratta di 22 teste di cervo alle quali erano ancora attaccate parti di corna. Erano state lavorate in modo da essere più leggere, dunque per essere con ogni probabilità indossate. Molti elementi significativi associano dunque la leggenda di Herne al mito di Natale:

1)
I palchi/ramificazioni,
che gli vengono messi in testa, rinviano a tutti gli dèi cornuti antichi come Cernunnos e alle più antiche pratiche cerimoniali se non addirittura alle renne di Babbo Natale. Le corna sono state un attributo regale tradizionale, simbolo del potere. E i palchi, che nei cervi si rinnovano ogni anno, simboleggiano la fertilità e l’eterno ritorno, come le celebrazioni di Natale. Senza dimenticare le danze cornute di questo periodo. Inoltre, come non pensare all’accompagnatore nero di san Nicola che viene riconosciuto come il vero antenato di Babbo Natale, e che, frequentemente, era dotato di corna? Il dio cornuto rappresenta il rinnovamento della vita ma, paradossalmente, rappresenta anche il mondo sotterraneo e dunque la morte e il freddo, propri della stagione di Natale.

2)
La caccia selvaggia,
alla quale i guardiani di Windsor, trasformati in spettri, si uniscono, e che attraversa il cielo di Jul.

3)
L’impiccagione alla quercia
evoca Odino, autosacrificatosi sull’albero del mondo Yggdrasill che sarà simboleggiato dall’albero di Natale. Inoltre, come per san Nicola, si può notare l’importanza del numero tre nella leggenda di Herne: tre doni offerti dal re, tre personaggi principali (Herne/la fecondità, il re/il guerriero e Urswick/il saggio)... Il ricorrere di questa cifra tradisce un’origine celtica o germanica antica. Da molti secoli, e ancora in tempi recenti, Herne appare frequentemente nel parco di Windsor o nei dintorni, cosa che, ogni volta, annuncia grandi catastrofi nazionali. Con l’avvento del cristianesimo, molti dèi sono scomparsi o hanno dovuto cambiare nome. Ci sono grandi probabilità che Wotan, dio delle tempeste e del furore estatico, sia diventato (in quanto Signore della caccia selvaggia e dio degli Impiccati) Herne, il cacciatore folle. Personaggio essenziale della tradizione anglosassone, incarnazione del principio vitale (attraverso le corna di potenza) e dell’uomo selvaggio, Herne ci porterà dunque al druido-sciamano Merlino, altro personaggio feticcio del folklore celtico-britannico.

Da: La vera storia di Babbo Natale di Arnaud d’Apremont


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